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Tutti i post in cui compare la parola Fong Hoe Fang

Digressioni malesi attorno a un libro che non c’è / 1

Un giorno ce ne andiamo su a Kuala Lumpur, detta KL, con Fong Hoe Fang in macchina. Editore a Singapore, Hoe Fang ha lo stand della sua Ethos Books a una piccola fiera del libro nella capitale malese. [...]

(continua su In diretta dall’Asia)

Ballard a Singapore

Altro che esangui esistenze, come avevo intitolato un mio post due mesi fa. Singapore è il futuro.

Singapore, città stato di cinque milioni di abitanti, highways, grattacieli e quartieri residenziali, parchi giochi e casinò, acque, fuochi d’artificio, cielo sempre in movimento e stagioni immutabili, una eterna estate piovosa che non lascia traccia del suo passare.

Il giorno prima di partire ho incontrato il mio amico editore Fong Hoe Fang in un coffee-shop a Paya Lebar, sotto a un ufficio postale cilindrico contornato da ascensori a vista che salgono e scendono come navette spaziali.

Seduti al tavolino all’aperto, dopo la pioggia (e quindi con una luce molto favorevole, devo ammettere) io lo ascoltavo parlarmi dei suoi poeti e del progetto di portare la poesia contemporanea nelle scuole, su uno sfondo da cartoon: la stazione sopraelevata del metrò, il binario sopra i piloni, i treni in arrivo o in allontanamento davanti a una infilata di palazzi tutti uguali ma di colori diversi.

Il tutto circondato da altissime acacie a loro volta ricoperte di rampicanti. Pensavo, cos’è? Cos’è che mi attira di questo luogo per alcuni asfittico, per altri opprimente, e per molti semplicemente l’unica esistenza possibile al di là dell’emigrazione. E finalmente mi è venuto in mente Ballard.

J.G. Ballard, scrittore di fantascienze sociali che rappresentano qui un presente di ceto medio diffuso, tutto uguale, tutto egualmente percorso dalla paura di non farcela, di restarne tagliati fuori (per esempio: Condominium, Cocaine Nights, Super-Cannes). La piccola borghesia (cosmica), se ancora ha un senso questo termine in un mondo che come dice giustamente qualcuno, rischia di non avere altro all’infuori di sé.

Interrogato sul futuro Ballard rispondeva: questo è il mio timore, che il futuro sia un vasto e vuoto quartiere residenziale dell’anima. Ed eccolo qua: Singapore. Singapore che io proprio per questo adoro, perché è PURO, un esperimento sociale senza interferenze, senza vie di fuga per lo sguardo, senza possibilità di fraintenderlo, di disconoscere la nostra società e le nostre esistenze (esangui) per quel che sono.

A Ballard chiedevano: come è possibile che proprio tu, il cantore della violenza sottesa, dell’inespresso, del banale orrore quotidiano connaturato a questa condizione sociale, poi ti sia rintanato a vivere, appunto , in un banalissimo quartiere suburbano, residenziale, di una media cittadina inglese? E lui rispondeva: perché è qui che si gioca la partita. Questo è il luogo della lotta, dove questa gente si scontra giorno dopo giorno. È qui che lo si vede senza filtri.

Sono d’accordo: è un iniezione di verità, di solido terreno reale su cui poggiare i piedi. Singapore lista grigia, dove ancora fanno tappa alcuni tra i peggio capitali del globo. Singapore dove ciascuno ne ha una sua fettina, Singapore che teme e confina gli immigrati (più del 10% dei residenti) che fa lavorare nei suoi cantieri, lungo le nuove strade pagate dalla congestion charge. Leggete Carver, amici miei poeti di Singapore, leggete Cheever: quando, qui, un grande romanzo sul millennio suburbano?

Foto: hkfuey97

Esangui esistenze a Singapore

È un piccolo paese, Singapore: quattro milioni di abitanti su un’isola di 40 chilometri per 30. Praticamente un centro città degli affari, un’ampia fascia residenziale, una piccola e forse residua zona industriale, e una periferia dove vivono i lavoratori immigrati. Molto turismo, sopratutto asiatico: parchi giochi e casinò.

Il mio amico Fong Hoe Fang, di Ethos Books, mi dice: è difficile che emerga della buona narrativa da un paese di centri commerciali e pendolari. In effetti la scena dei romanzi locali è spesso asfittica.

Come in Heartland, di Daren Shiau, che lui ha pubblicato qualche anno fa, dove un gruppo di ragazzi alle soglie della laurea confrontano le loro esistenze. Razze diverse, culture e religioni lontane tra di loro (qui ci sono cinesi, bianchi di origine inglese, Malay e un po’ di immigrati anche recenti dall’India), in fondo ciò che è più interessante è proprio la capacità di convivere senza conflitti da parte dei personaggi del romanzo, a causa di un appiattimento che pare senza scampo, dove il passaggio dalla scuola al lavoro sembra non avere soluzione di continuità, così come quello dalla giovinezza all’età adulta.

In questa sorta di Svizzera asiatica gli artisti e gli scrittori più acuti restano concentrati su un minimalismo del quotidiano (un buon esempio è il poeta Cyril Wong), e la loro via di fuga sembra essere il viaggio verso l’Occidente, e recentemente anche verso la Cina.

I romanzi che sanno alzare lo sguardo sono quelli di autori più in là con gli anni, che parteciparono ai movimenti pro democrazia negli anni ottanta, come Su-Chen Christine Lim, il cui Rice Bowl bene racconta quegli anni.

Foto: AndyLeo@Photography

Saggi da Singapore

Il nostro amico Fong Hoe Fang riesce, con la sua Ethos Books, a essere sempre sul pezzo. A poco più di due mesi dalle elezioni politiche di Singapore, che hanno segnato un punto verso l’affermazione di una democrazia sostanziale nel piccolo paese del sud est asiatico, ecco un libro che raccoglie saggi di alto profilo.

Lo scorso 7 di maggio l’opposizione ha raccolto quasi il 40% dei voti in un paese che da sempre ha vissuto un sostanziale regime da partito unico mascherato. Il sistema elettorale a collegio uninominale concede solo una manciata di seggi allo Workers Party, ma si profila un regime di alternanza. La rivoluzione dei gelsomini qui ha lasciato qualche frutto.

Ethos

Ethos Books

Singapore. A cena con Fong Hoe Fang di Ethos Books. Pubblicano molta poesia, memoir, qualche raccolta di racconti. Mi spiega che qui manca l’aria: una ragnatela di restrizioni leggere ma insistenti, un regime oppressivo, democratico nella forma ma con la prevalenza e la prepotenza del partito di governo. Ha un amica che si presentò alle elezioni criticando il potere, e fu di fatto espulsa dal paese. Difficile che un autore si senta libero di raccontare storie aperte, con lo sguardo acceso sulla società che lo circonda. Tendenza a ripiegare sul privato, a guardarsi l’ombelico. E allora viene più facile fare poesia, o scrivere racconti brevi piuttosto che romanzi. La prossima settimana Ethos Books presenta alla Arts House una raccolta di poesie di Yeong Pwai Ngon, il libraio indipendente di lingua cinese più noto in città. Pwai Ngon ha scritto un bel romanzo, che spazia dagli anni della repressione, inizio ’80, fino ai tempi nostri. Non ha paura, lui: è già stato dentro un paio di volte, per mesi.

Vicinanze

Mi trovo a raccontare una storia che mi riguarda direttamente, come scrittore. Lo faccio perchè è un buon esempio di quanto la nuova Asia abbia oggi da condividere con la vecchia Europa.
L’editore di Singapore con cui MdA ha iniziato una collaborazione stretta è la Ethos Book del mio amico Fong Hoe Fang. Una sera mi è capitato di accennare a un mio libro: Noi Siamo la Classe Operaia, edito da Baldini&Castoldi anni fa. Narravo la storia dei duemila operai dei cantieri di Monfalcone che, nel 1947, decisero di emigrare nella confinante Jugoslavia perchè, dicevano, volevano contribuire alla costruzione di una società comunista. Come si può immaginare, l’emigrazione di massa ebbe esiti tragici: alcuni dei monfalconesi vennero addirittura rinchiusi per anni nei terribili gulag di Tito. Una decina di anni fa intervistai molti degli anziani protagonisti di quell’epopea, descrivendo la delusione e il vero e proprio trauma che quella storia contribuì a sedimentare nelle fibre dell’immaginario collettivo operaio e di sinistra in Venezia Giulia: il sogno di una società diversa che si infrange sulla scorza ruvida del comunismo reale.
In un ristorante di Singapore poco tempo fa, Hoe Fang mi ascoltava impietrito. Gli vidi gli occhi lucidi. Cominciò a raccontare lui, con fatica. La sua era una famiglia di proprietari terrieri, originaria della Cina del sud est. Negli stessi anni in cui i miei monfalconesi si rompevano il muso contro il muro del socialismo titino, il fratello di suo nonno si unì ai comunisti cinesi di Mao Tse Tung impegnati nella Lunga Marcia, che stava per sfociare nella rivoluzione e nella presa del potere. Il primo effetto dell’instaurazione del comunismo fu l’espropriazione dei latifondisti: i fratelli si divisero, il nonno di Hoe Fang fece appena in tempo a trasferire parte di suoi averi a Singapore, dove di lì a poco fondò la stamperia che oggi, guidata da Hoe Fang, è una fiorente industria grafica e pubblicitaria (oltre che editoriale). Il fratello rimase con i suoi compagni: si dichiarò lieto di vedere le sue terre espropriate e donate al popolo. Diventò in breve uno dei massimi dirigenti del Partito Comunista Cinese, con importanti incarichi di governo.
Venne poi la Rivoluzione Culturale. Preso di mira dalle Guardie Rosse, il prozio di Hoe Fang subì le note umiliazioni, venne inviato in campagna a ‘rieducarsi’ e in seguito confinato come operaio comune in una fabbrica della Manciuria settentrionale. Decise di andarsene, riuscì a fuggire a Taipei e poi negli Stati Uniti. Ci vollero quasi tre decenni perchè Deng Tsiao Ping, l’artefice della virata cinese verso il libero mercato, lo richiamasse a Pechino. Fu riabilitato, e gli fu proposto di rientrare nei ranghi: con un prestigioso incarico, equivalente al nostro Sottosegretariato ministeriale. Ma lui, a Deng Tsiao Ping, rispose di no. Non c’è niente, disse, che possa ricompensarmi per ciò che ho perduto.
Fong Hoe Fang dice che è per quello che la sua esistenza di grafico e stampatore non gli bastava. Lavora con tutte le multinazionali che hanno sede nel paese, ne cura le campagne di immagine e di marketing. Ma ha voluto, quasi da dilettante e sicuramente a profitto zero, costruire un catalogo editoriale centrato sulla produzione poetica e teatrale a Singapore. E fra un po’ tradurrà il mio Noi Siamo la Classe Operaia.
Lunga vita alla collaborazione tra MdA e Ethos Books.

ladwigryan@mailxu.com