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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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L’India e i treni

Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di I miei luoghi, su D – la Repubblica delle Donne ci porta in lungo e largo per l’India in treno, iconico mezzo di trasporto nel paese seppure meno diffuso che in passato grazie al miglioramento della rete stradale e alla diffusione dei voli.

Partendo da ricordi legati ad alcuni biglietti conservati, la scrittrice rivive il mito del treno attraverso aneddoti personali legati alla varia umanità che si incontrava nei vagoni, soprattutto gli onnipresenti venditori di qualsiasi cianfrusaglia.

Annie Zaidi e l’ascensore sociale

In un nuovo intervento su D – la Repubblica delle Donne, Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di I miei luoghi, parte dalla storia dell’attore Nawazuddin Siddiqui, che prima di diventare famoso in India aveva svolto il lavoro di guardia giurata, venendo anche licenziato, a differenza di altri attori che provengono abitualmente da famiglie più agiate e ricevono agli inizi supporto dalla famiglia.

Da qui una riflessione su alcune discriminazioni e separazioni di spazi comuni nelle case degli abitanti di classi alte che hanno ad esempio ascensori separati per fattorini, addetti alla sicurezza o personale domestico.

Da I miei luoghi, di Annie Zaidi

Per Irshad Khan, il cerchio della vita si era chiuso il giorno in cui aveva ricevuto un messaggio dai Gadariya: avrebbero gradito incontrarlo. Il perché Khan non era disposto a precisarlo. Mi lasciò intendere però che c’entrasse il fatto che i fratelli un tempo avevano lavorato per lui, caricando pietre pesantissime sui camion per uno stipendio da fame; pur non sapendo bene che cosa volessero in quel frangente, da buon ex datore di lavoro aveva accettato di incontrarli. Ma quasi tutti a Shivpuri, e fi n giù a Bhopal, sono convinti che i proprietari delle cave di questa zona dello Stato fossero soliti pagare alle bande di dacoits una sorta di «pizzo» per la protezione. Fino a pochi anni fa in questa fascia l’estrazione di pietre era proibita (per salvaguardare le foreste), e perché le cave illegali continuassero a lavorare in pace era importante tenere il più lontano possibile dai boschi eventuali intrusi. In quest’ottica, avere a libro paga bande di dacoits poteva rivelarsi utile.
Mentre Khan raccontava la storia del loro incontro nella foresta, proprio accanto alla sua cava, era impossibile non notare l’ammirazione che trapelava dalla sua voce. Una parte era armata, e lo era anche l’altra. Le due parti si incontrarono, e prima ancora che si potesse rendersene conto, i banditi erano saltati addosso allo zio di Khan e a un cugino più giovane, trascinandoli via. Dalla loro parte. Questa parte aveva le armi, ma non osava sparare per timore di colpire e uccidere i propri familiari dall’altra parte. Perciò questa parte era rimasta lì, inebetita, rimpiangendo la propria dabbenaggine. E l’altra parte tutta sorrisi probabilmente teneva la sua posizione prima di stabilire il prezzo del riscatto e allontanarsi senza fretta.

Da I miei luoghi. A spasso con i banditi e altre storie vere, di Annie Zaidi

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Annie Zaidi, l’Uttar Pradesh e le donne

Nel suo articolo pubblicato su D – la Repubblica delle Donne Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di I miei luoghi, si sofferma sulla figura di Yogi Adityanath, politico ora alla guida dell’Uttar Pradesh.

L’autrice ricorda le sua posizioni fortemente misogine e controverse, e da lì più in generale la difficilissima situazione di molte donne che ad esempio vengono punite – da gruppi che godono nei fatti di impunità – per aver sposato qualcuno di un’altra casta. Secondo alcuni dati riportati da Annie Zaidi, in India solo una donna su venti è libera di scegliere chi sposare, e il 15% di tutti i suicidi è commesso da casalinghe.

Annie Zaidi e i viaggi

Su D – la Repubblica delle donne Annie Zaidi ha parlato di viaggi. L’autrice, che ha pubblicato con Metropoli d’Asia I miei luoghi, ci lascia qualche riflessione su una apparente nuova mania indiana per i viaggi, chiedendosi però se invece di viaggiare non vogliano invece replicare esperienze che gli sono familiari.

Nella seconda parte Zaidi racconta la sua esperienza con i viaggi, quasi mai in hotel “carini” quanto piuttosto in situazioni di viaggio più “sgangherate”. La riflessione finale è che le esperienze più insolite permettono di vedere le cose più in profondità, viaggiando davvero e non facendo solo del turismo.

Annie Zaidi e la demonetizzazione delle rupie

Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di I miei luoghi, ha commentato su D – la Repubblica delle donne la decisione del governo indiano di eliminare i tagli di monete da 500 e 1.000 rupie. Il provvedimento era motivato dall’esigenza di combattere la corruzione e l’evasione fiscale, ma a quanto pare ha generato numerosi problemi pratici nella vita quotidiana degli indiani.

L’articolo di Annie Zaidi si concentra proprio su questo, con alcune riflessioni sul fatto che in attesa di un possibile assestamento della situazione il paese sembra ritornato tutto di nuovo in coda per qualsiasi cosa, come negli anni ’80.

I miei luoghi citato su Origami (La Stampa)

Il settimanale Origami, allegato a La Stampa, ha pubblicato una breve citazione da I miei luoghi, di Annie Zaidi.


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Tre articoli di Annie Zaidi su D – la Repubblica delle donne

Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di  I miei luoghi, ha scritto tre articoli di opinione sulla società indiana ospitati su D – la Repubblica delle donne.

Nel primo si parla di donne e controlli di sicurezza negli aeroporti e in altri luoghi sensibili, laddove sono sempre più frequenti camerini separati per le perquisizioni, che da apparente gesto di cortesia e discrezione diventa per l’autrice una forma sottile di segregazione. Nel secondo l’argomento è il proibizionismo nei confronti dell’alcool, con i suoi limiti in uno stato in cui basta passare da una provincia “sobria” (con un divieto completo di consumo) a una che non lo è, con relativo turismo alcolico per procurarselo. Il terzo articolo riguarda l’eventualità di organizzare una festa simile alla Tomatina spagnola (peraltro già abbastanza simile all’Holi), con considerazioni e riflessioni sull’opportunità di sprecare cibo in un posto, come l’India, con forti problemi di malnutrizione.


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Da I miei luoghi, di Annie Zaidi

I Gujjar e gli altri professionisti della classe media di Shivpuri volevano morti i Gadariya perché li temevano, eppure non potevano a denti stretti negare loro un certo rispetto, soprattutto visto che quegli uomini erano in netto contrasto con banditi come Nirbhay Gujjar, o come quelli che avevano rapito Phoolan Devi prima che anche lei diventasse una fuorilegge. I Gadariya non bevevano, trattavano le donne con riguardo e di solito erano abbastanza rispettosi delle loro vittime.
In effetti, a sentire i dacoits dell’epoca precedente l’Indipendenza, quasi tutte le bande di un tempo erano vincolate a un rigido codice etico. Raghuveer Singh Gussi, un vecchio dacoit da me conosciuto in un secondo viaggio, tempo dopo, affermava con insistenza che, pur non distribuendo direttamente le proprie ricchezze agli altri, erano pronti a dare denaro ai bisognosi che glielo chiedevano. Rubavano solo ai ricchi, e non avrebbero torto un capello a una donna neppure se fosse stata ricoperta d’oro.

Da I miei luoghi. A spasso con i banditi e altre storie vere, di Annie Zaidi

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Da I miei luoghi, di Annie Zaidi

Rambabu era a capo della banda dei Gadariya insieme al fratello Dayaram. Il resto dell’organizzazione comprendeva cugini o «fratelli di casta», a parte un paio di componenti provenienti dalle tribù delle foreste dei dintorni. Una banda leggendaria, non solo per alcuni audaci sequestri messi a segno o per i modi sensazionali con cui aveva giustiziato i suoi nemici. Nei posti giusti quei banditi erano anche capaci di comportarsi da Robin Hood; e mai, durante le loro scorrerie, torcevano un capello alle donne. In effetti, è stata una delle prime cose che sono venuta a sapere a proposito della banda: le donne non le toccavano nemmeno. Se capitava loro di incontrarne una, la chiamavano «sorella» e le consegnavano un dono simbolico, una piccola somma di denaro.
Questo atteggiamento aveva fatto guadagnare alla banda uno stuolo di accesi sostenitori. Non c’è donna del Chambal che in cuor suo riesca a condannare Rambabu e Dayaram senza accompagnare la condanna a un moto di pietà, o forse a un’emozione che va al di là di questa (a esclusione, ovviamente, di quelle a cui è stato ucciso il marito o il fi glio). Una delle attiviste sociali della zona, che in seguito arrivai a conoscere abbastanza bene perché si fi dasse di me, diceva spesso con sguardo sognante di voler conoscere Rambabu, perché era convinta che non potesse essere poi così cattivo.

Da I miei luoghi. A spasso con i banditi e altre storie vere, di Annie Zaidi

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