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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post del mese agosto, 2011

Tè dall’Asia

Asian Cha è nata qualche anno fa come una “fanzine” online. In lingua inglese, da Hong Kong, ospitava giovani poeti locali, ricercatori, critici, qualche storia breve. Il numero di fine luglio, con un focus sulla Cina, è interessante fin dalla foto di copertina.

In particolare segnaliamo la sezione recensioni, la sezione poesia in traduzione con un vasto panorama sulla scena cinese come raramente abbiamo visto, e sopratutto il lungo estratto da Screwed, nuovo romanzo di Han Dong. Han Dong, da Nanchino, è coautore insieme al nostro Zhu Wen del famoso manifesto Rupture della metà anni novanta, oltre che suo riconosciuto maestro.

Il Corriere della Sera su Han Han

Bellisimo paginone del bravo Marco Del Corona sul nostro Han Han (di cui MdA pubblica Le Tre Porte il 14 di settembre). Ne viene fuori un personaggio atipico nel panorama letterario cinese, capace di comunicare con le giovani generazioni del suo paese (4 miloni di copie vendute!) sopratutto attraverso un blog che non ha peli sulla lingua, anche per l’abilità di Han Han nell’evitare le questioni spinose, quelle che porterebbero a spegnere la sua voce critica: Il Tibet, l’assenza di democrazia. Certo la sua rivista è stata chiusa (tra i collaboratori di spicco c’era Ai Wei Wei di cui Del Corona cita una frase significativa: “Han Han ha più influenza di Lu Xun, perchè nell’era di interent la sua scrittura raggiunge più gente.”) Certo, Han Han si atteggia a popstar, e nelle risposte alle interviste, rarissime, alla stampa occidentale, fa il consueto slalom per riuscire a non dare risposte chiare, precise. E quindi può passare per un superficiale, un arrampicatore in carriera. E’ invece intellettuale a tutto tondo, scaltro e prudente come deve esserlo chi ha deciso di far sentire la propria voce in Cina, e non da qualche esilio dorato da dissidente. Spero che i commentatori italiani non si facciano fuorviare (ricordo Pincio che sul Manifesto di un anno fa censurava Zhu Wen che a un giornalista occidentale aveva dichiarato di non aver partecipato ai fatti di Piazza Tien an Men perché lui è “un pigro, e probabilmente quel giorno era a casa a dormire”. Risposta che va correttamente interpretata con: grazie della domanda, ma preferirei non finire in galera domani mattina”).

Angloindiano e lingue locali

Stiamo traducendo una raccolta di racconti di R. Raj Rao, e ci ritroviamo di fronte una questione già molto dibattuta (internamente, a MdA). In India gli scrittori contemporanei usano la lingua inglese, lingua della comunicazione in quel paese (lingua dei media, delle università, delle scuole d’azienda e delle relazioni tra top manager e politici).

Lingua correntemente utilizzata dai più giovani, sopratutto negli strati medi e alti della popolazione, ma costantemente arricchita da termini, frasi, espressioni dell’Hindi o delle lingue locali (ce ne sono più di venti, in India, appartenenti a due gruppi linguistici principali).

Nella lingua scritta questi termini compaiono oramai in tondo (una decina di anni fa ancora si usava il corsivo) sia quando indicano cibi, o vestiti, o figure religiose che non hanno una traduzione equivalente in inglese, e sembrano entrati a far parte di un unico corpus linguistico che si è guadagnato la definizione di angloindiano. Ora la domanda è: come tradurlo in italiano?

Anni fa l’uso imponeva l’evidenziazione in corsivo dei termini in Hindi o altre lingue locali, e a fine volume un glossario, con la traduzione. Negli anni molti editori hanno iniziato a introdurre il tondo per termini ormai entrati nell’uso comune: sari, kurta, masala. Ma come definire questo spartiacque? Cosa fare con i nomi di elaborate pietanze che sarebbe ridicolo tradurre? E perché, in altri casi, imporre al lettore di andare fino al glossario per conoscere la traduzione di un termine, invece che averla immediatamente sott’occhio?

È arrivato Amitav Gosh, a sciogliere con la sua spada il nostro nodo. In una lettera ai suoi editori ha chiesto che nessun termine in corsivo e nessun glossario fossero utilizzati per i suoi romanzi. In sostanza: siete editori (in italiano, francese, spagnolo), traducetemi. Che fare?

Il Singapore International Storytelling Festival

Si terrà dal primo al 5 settembre a Singapore l’International Storytelling Festival. Il programma è ricco, e oltre a diverse performance e lezioni si terrà nei giorni 3 e 4 anche l’Asian Congress of Storytellers, con alcuni seminari di approfondimento.

Parallelamente, partirà anche un concorso per gli studenti, che potranno raccontare una storia sul tema del superamento delle differenze, utilizzando anche strumenti digitali.

Il blog va in vacanza per due settimane

Asiatici che scrivono di altri asiatici

Biblio è la rivista letteraria e culturale più nota e più interessante dell’India. I suoi articoli sono scaricabili, alcuni gratis altri a pagamento. Il numero di maggio/giugno è interessante per la sua vocazione inter-asiatica: focus sulla Cina con un articolo di Amartya Sen, solo per citare il nome più noto.

Sì, gli indiani discutono di Cina e dintorni più di quanto non discutano dell’Occidente. Analogamente da Hong Kong una rivista in lingua inglese, Asia Literary Review, si concentra in questo numero sul Giappone.

Il Giornale della Libreria parla di Metropoli d’Asia

Sul Giornale della Libreria di luglio/agosto segnaliamo un riquadro sulla storia e le attività di Metropoli d’Asia. Lo trovate nella seconda pagina, ma anche il resto è interessante.

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