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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Ora Anwar Sadat giaceva morto, in attesa che la sua fossa venisse completata, la bara pulita, e soprattutto in attesa del ritorno della sua ultimogenita, così avrebbe potuto mostrarle la ferita sconvolgente, come se sperasse in pianti più repentini e violenti di quelli di Kasia, Laila e Maesa Dewi. Con un’aria più trasandata del solito, Kasia era seduta sul pavimento con le ginocchia piegate, e mordeva l’angolo di un pezzo di stoffa che teneva in grembo. Nessuno sapeva perché si fosse portata quel tessuto, forse voleva solo sprofondare nella morte. Accanto c’era Laila la Vedova, che cercava invano di consolare sua madre, perché anche lei aveva bisogno di conforto; aveva appena perso i sensi finché qualcuno non l’aveva fatta rinvenire spruzzandole dell’acqua sul viso. La più scossa era Maesa Dewi, poiché era stata la prima a vedere la testa di Anwar Sadat quasi staccata dal collo. Continuava a singhiozzare e urlare per il dolore, come se avesse il ventre pieno d’acqua bollente, e abbracciava il suo bambino che come lei stava strillando disperato.

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Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Quell’uomo era così attraente che non solo aveva affascinato numerose ragazze quando era arrivato in città la prima volta, ma perfino dopo tanti anni, vecchio, ingrassato e con i capelli che si diradavano, era ancora un idolo agli occhi di donne avventurose che aspiravano ad avere una storia con lui. I suoi bei lineamenti erano in netto contrasto con quelli di sua moglie. Con un naso che sembrava il becco di un pappagallo, la mascella troppo pronunciata e modi freddi e altezzosi, più che una bella principessa Kasia sembrava una strega cattiva. In realtà non era così brutta, ma era decisamente il tipo di donna che annoiava la maggior parte degli uomini. A detta di molti Anwar Sadat, artista fallito, l’aveva sposata solo per i suoi soldi, e con quel denaro si era potuto permettere di andare a letto con un sacco di donne; sua moglie scopriva quasi sempre le sue scappatelle, ma non le importava, a patto che non spargesse il suo seme altrove.

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Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Nel suo infinito tempo libero, dato che non aveva mai avuto un vero lavoro dopo aver smesso di vendere i suoi quadri, giocava a scacchi con il Maggiore Sadrah, sponsorizzava la squadra di calcio della città e correva dietro alle ragazze. Svolgeva quest’ultima attività con più passione di quanta ne riservasse alla pittura: abbordava le ragazze e se le portava a letto, ma se la spassava anche con le vedove e le mogli compiacenti di altri uomini. Non era un segreto, perché i segreti non restavano a lungo nelle orecchie degli abitanti di quella città. Ciò nonostante, l’impressione di immoralità che dava non aveva mai eclissato il rispetto che la gente aveva per lui, e in ogni riunione gli permettevano di tenere lunghi discorsi che lo facevano risultare immancabilmente un abile oratore. Era affascinante, e per questa ragione gli altri lo perdonavano, inoltre bisogna considerare che anche la maggior parte dei suoi amici non si comportava in modo irreprensibile.
Quel mattino nessuno si era accorto che la Morte si era già posata sulla sua spalla. Era una persona che non appariva mai triste, come se il giorno della sua morte non fosse stato stabilito. Era andato a fare colazione alla bancarella di frittelle, come al solito, e aveva scherzato con le ragazzine in uniforme scolastica. Chiunque fosse passato lì vicino aveva potuto sentire le battute spiritose che uscivano dalla sua bocca piena di tempeh e frittelle. Anwar Sadat si era seduto sulla panchina davanti al fornello acceso, mentre il venditore versava la pastella nella piastra sul fuoco e faceva saltare ripetutamente il tempeh fritto nel wok pieno di olio bollente, poi si era alzato e si era messo a pizzicare il mento alle ragazzine finché non avevano protestato per quell’atteggiamento lascivo e si erano scostate per evitare che all’improvviso si sporgesse a baciar loro le guance.

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Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Non era un segreto. Tutti nel kampong sapevano che Margio rubava spesso i polli di suo padre, non perché ne avesse bisogno, ma piuttosto perché era arrabbiato con lui. «Non so cosa sia saltato in mente a quel ragazzo per azzannare il collo di una persona» replicò il Maggiore Sadrah.
La persona in questione, Anwar Sadat, in quel momento giaceva immobile sotto un batik marrone, sul pavimento del suo salotto, che era pieno di luce ma tetro per il dolore insostenibile e i singhiozzi intermittenti delle donne in lacrime. La stoffa, intrisa di rosso, seguiva i contorni del cadavere, mentre il sangue continuava a scorrere sul pavimento. Scuro e grumoso. Nessuno osava tirare la tenda che divideva il mondo dei vivi da quello del morto, perché erano consci della carne lacerata e della ferita aperta che rendevano il cadavere più macabro di qualsiasi spettro. Il semplice pensiero li disgustava.
Due poliziotti arrivarono a bordo di un’autopattuglia il cui lampeggiante rosso continuava a roteare, anche se la sirena era spenta. Si bloccarono entrambi sulla soglia, non sapendo bene che fare. La moglie della vittima aveva rifiutato qualsiasi esame del cadavere. Era giusto, visto che tutti sapevano come era deceduto quell’uomo e chi era responsabile della sua morte. Anwar Sadat non aveva bisogno di un’autopsia, e le uniche cose che gli sarebbero state garantite erano il lavaggio rituale, il riempimento della ferita con batuffoli di cotone, le preghiere e una sepoltura immediata.

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Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Nel gruppo dei cacciatori che il Maggiore Sadrah guidava da anni, Margio poteva essere definito il più bravo. Sulla schiena aveva ancora la cicatrice di una ferita dovuta alle zanne di un cinghiale, ma non era niente in confronto alla quantità di animali che si erano arresi di fronte alla sua lancia, prima di essere sospinti verso la trappola e catturati vivi. Un cinghiale morto non era di nessun interesse per loro, perciò, anche quando si trovavano ad affrontare fisicamente un esemplare inferocito, non tentavano di ucciderlo. Lo ferivano in modo lieve, prima di costringerlo a entrare nella trappola. Non volevano che i cinghiali morissero perché organizzavano combattimenti con i cani selvatici, ai quali si poteva assistere pubblicamente alla fine della stagione venatoria. Nella caccia piena di espedienti e di tranelli a quegli animali senza cervello, Margio era considerato un leader, per la sua corsa veloce e la sua lancia implacabile. Non tutti avevano il coraggio di assumersi quel ruolo, e per questo il ragazzo era particolarmente ammirato dai suoi compagni.

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«Perché?» aveva domandato Margio, riluttante a consegnare il suo giocattolo. «È solo un ferro vecchio che non serve a nessuno».
«Ma potresti comunque uccidere qualcuno con quella spada, se volessi», aveva risposto il Maggiore Sadrah.
«Infatti è quello che voglio fare».
Benché il ragazzo avesse dichiarato così apertamente di voler uccidere un uomo, il Maggiore Sadrah non aveva dato peso a quell’affermazione. Aveva cercato di convincerlo e, dopo averlo minacciato di portarlo al distretto militare, era riuscito a farsi consegnare la spada, che aveva poi gettato sopra la gabbia dei cani dietro casa sua.
Per tutto il pomeriggio non aveva più pensato a quell’episodio e non aveva notato nessun presagio di catastrofe: forse era diventato vecchio e non era più attento come una volta. Era quasi dispiaciuto di aver confiscato quell’inutile spada. Con quell’arma logora tra le mani di Margio, forse Anwar Sadat non sarebbe morto. Anche se il ragazzo l’avesse colpito più volte al collo, al massimo gli avrebbe fatto qualche livido o rotto qualche osso. Rabbrividì mentre immaginava come Margio avesse ghermito Anwar Sadat e con quanta forza le sue mascelle avessero stretto il collo del pover’uomo.

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L’uomo tigre finalista al Man Booker International Prize

Seminare scrittori: è possibile? Vederli crescere.

Quando partivo per l’Asia, anni fa, prima di stabilirmi a Pechino, qualcuno mi salutava augurando: buon raccolto! Avevo già pubblicato Ayu Utami, ero a Jakarta dove Metropoli d’Asia partecipava a un premio letterario, il Khatulistiwa, che però quell’anno non diede frutti. O almeno, a me non parvero all’altezza. Dissero: anno sfortunato. Risposi: e allora chi? E insistevo: un autore più giovane, in sintonia con i lettori più giovani. Domandavano: adatto al mercato europeo?

Mi indignavo, quasi. No! Io cerco i romanzi degli indonesiani, romanzi piantati nell’identità nuova di un paese, dentro alla sua mutazione profonda come tutta l’Asia. Insomma cosa piace qua? Chi ci sa raccontare qualcosa dell’Indonesia di oggi? Un pochino petulante, lì, nel ripetere che no, non voglio l’ambientazione storica, o il racconto delle tradizioni ancestrali. Che li apprezzo, certo, quei buoni romanzi, ma che per Metropoli d’Asia mi piace la contemporaneità.

Al di là del mestiere di editore, dicevo, mi interessa capire cosa si pensa e scrive e si legge qui, oggi, in queste megalopoli piene di traffico e di gente ormai simile a noi. Al macero l’esotismo. Datemi l’Asia dura, anche feroce, dell’oggi.

Lelaki Harimau, letteralmente l’Uomo Tigre, l’ho comprato il 28 novembre del 2010. E, accidenti, avevo in mano anche un secondo romanzo. Ma dovevamo rallentare, fare qualche libro di meno. Chiesi una proroga per il primo romanzo, non esercitai l’opzione sul secondo, e ormai mi sa che non ci arrivo più. E’ uscito, il nostro uomo tigre in italiano, nel gennaio dello scorso anno.

E nel frattempo, quest’Asia in timelapse ha accorciato le distanze con noi. Ci sono sempre più vicini, gli asiatici delle città, anche quando raccontano storie che sanno di favola, perché gli vivono nei polpastrelli, mentre battono sulle tastiere. E adesso arrivano, nelle longlist, sui nostri magazine, ai festival letterari. Portano il profumo di un Asia diversa, un’Asia le cui fatiche assomigliano alle nostre.

Congrats, Eka! E grazie.


Man Booker International Prize Longlist

Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Nessuno aveva mai sentito parlare di un metodo così primitivo per uccidere. Negli ultimi dieci anni in città si erano registrati dodici omicidi, commessi con un machete o una spada. Mai una pistola, mai un kris e soprattutto mai i morsi. O meglio, c’erano stati centinaia di casi che avevano implicato morsi, particolarmente in liti tra donne, ma nessuno si era concluso con la morte. Le identità dell’assassino e della vittima rendevano la notizia ancora più sconvolgente. Conoscevano molto bene sia il giovane Margio sia l’anziano Anwar Sadat, e non avrebbero mai creduto che potessero diventare protagonisti di una tragedia del genere, a prescindere da quanto Margio desiderasse uccidere qualcuno e da quanto fosse odioso l’uomo di nome Anwar Sadat.

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L’uomo tigre su Il Fatto Quotidiano

Sul suo blog ospitato nel sito de Il Fatto Quotidiano, Lorenzo Mazzoni parla di L’uomo tigre, di Eka Kurniawan, inquadrandolo nel contesto letterario indonesiano e definendolo «un libro graffiante e dalla forte carica immaginifica», e sottolineando anche come sia un giallo atipico, dato che il colpevole si scopre già dalle prime pagine.

Utilizzando uno stile dai tratti esotici che ricorda García Márquez e V.S. Naipaul, e che deve molto alla tradizione della narrazione orale, Eka Kurniawan tratteggia una storia dai risvolti soprannaturali: l’omicidio di un incallito donnaiolo, Anwar Sadat, perpetrato da Margio, un ventenne in preda a traumi esistenziali dovuti alla violenta e non rieducabile condotta del padre.

(continua a leggere sul blog di Lorenzo Mazzoni)

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Eka Kurniawan intervistato da tuttoLibri – La Stampa

Il supplemento culturale tuttoLibri di La Stampa ha intervistato Eka Kurniawan, autore per Metropoli d’Asia di L’uomo tigre, in occasione della Fiera del Libro di Francoforte, da poco conclusa. Con l’occasione si è parlato dell’Indonesia e del rapporto dell’autore con letteratura, società e religione.

ligler@mailxu.com