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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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    • A Yi e Chan Ho Kei su Alias
    • Ayu Utami su Alias
    • L’impero delle luci segnalato su Internazionale
    • Metropoli d’Asia sulla Rivista Tradurre
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Da Il giardino delle delizie terrene, di Indrajit Hazra

Uma era bloccata nel solco di un mondo in cui la corruzione era un’anomalia, e non la norma. C’era qualcosa che si poteva definire perfetto, e un sacco di altre cose imperfette. Incurante del fatto che le ultime superavano di gran lunga le prime di un infinità a zero, era così che lei vedeva la vita, sia nelle forme più basse che in quelle più alte. Con il pulsare sordo del dolore che si diffondeva nel mio corpo, arrivò l’ondata di disprezzo. Uma aveva soffocato la mia esistenza, e il disastro al piano di sotto mi aveva fatto in un certo senso rendere conto che l’amore poteva essere venduto anche come un fluido corrosivo.

 

 Da Il giardino delle delizie terrene, di Indrajit Hazra

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E adesso? su Bnews (Università Bicocca)

Sul sito Bnews, organo dell’Università Bicocca di Milano, viene citato E adesso?, di A Yi, in una selezione di libri di Natale.

Uccide, per noia, una compagna di classe. È a questo evento di cronaca realmente accaduto che lo scrittore cinese A Yi (pseudonimo di Ai Guozhu) attinge per raccontare una storia che rivela la crudele banalità del male. In “E adesso?” (Milano, Metropoli d’Asia, 2016) l’occhio esperto del poliziotto, professione svolta in passato dall’autore, si mescola alla sensibilità dello scrittore nel tracciare un ritratto dell’assassino alla prima persona, rivelandone i sentimenti (o la loro assenza assordante) con una scrittura asciutta e calibrata, efficacemente resa dalla traduzione italiana di Silvia Pozzi (docente Bicocca di lingua cinese).

(continua a leggere su Bnews)

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Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Ora Anwar Sadat giaceva morto, in attesa che la sua fossa venisse completata, la bara pulita, e soprattutto in attesa del ritorno della sua ultimogenita, così avrebbe potuto mostrarle la ferita sconvolgente, come se sperasse in pianti più repentini e violenti di quelli di Kasia, Laila e Maesa Dewi. Con un’aria più trasandata del solito, Kasia era seduta sul pavimento con le ginocchia piegate, e mordeva l’angolo di un pezzo di stoffa che teneva in grembo. Nessuno sapeva perché si fosse portata quel tessuto, forse voleva solo sprofondare nella morte. Accanto c’era Laila la Vedova, che cercava invano di consolare sua madre, perché anche lei aveva bisogno di conforto; aveva appena perso i sensi finché qualcuno non l’aveva fatta rinvenire spruzzandole dell’acqua sul viso. La più scossa era Maesa Dewi, poiché era stata la prima a vedere la testa di Anwar Sadat quasi staccata dal collo. Continuava a singhiozzare e urlare per il dolore, come se avesse il ventre pieno d’acqua bollente, e abbracciava il suo bambino che come lei stava strillando disperato.

Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

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A Yi e Chan Ho Kei su Alias

Un articolo apparso su Alias, supplemento del manifesto, offre una panoramica sulle peculiarità del genere giallo e noir in Cina. Tra i vari autori vengono citati anche A Yi, che ha pubblicato con Metropoli d’Asia E adesso?, e Chan Ho Kei, autore di Duplice delitto a Hong Kong. Nell’articolo troviamo anche un commento di Andrea Berrini sui due autori citati.

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Da Oggetti smarriti, di Liu Zhenyun

Compiuti quarant’anni, Liu Yuejin, oltre ad aver preso l’abitudine di parlare da solo, era arrivato alla conclusione che la gente si divideva in due categorie: quelli che potevano permettersi di parlare, e quelli che avrebbero dovuto tenere la bocca chiusa perché dicevano sempre qualcosa di sbagliato e si mettevano nei guai. Lo sai che basta una frase storta per inguaiarti a morte? C’erano cose su cui Liu Yuejin aveva diritto di parola: per esempio in mensa, se servire rape stufate col cavolo oppure cavolo stufato con le rape, se aggiungere collo di maiale e in che quantità. Proprio come suo zio Niu Decao, che ai suoi tempi decideva cosa mangiavano i carcerati nella prigione di Luoshui. Fuori dalla mensa e dal carcere, però, facevano meglio entrambi a stare zitti. Tanto, anche se parlavano, era inutile. Non che le parole a vuoto siano necessariamente dannose, ma chi parla a vanvera deve sopportarne le conseguenze, e quindi la faccenda si ingrossa. Se sei in grado di assumerti le tue responsabilità, poco male; in caso contrario, il problema si ramifica e si aggrava. Purtroppo però, quando uno prende fuoco, tende a fare sparate per togliersi una soddisfazione.

Da Oggetti smarriti, di Liu Zhenyun

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Da Memorie di un assassino, di Kim Young-ha

Mio padre è stato l’inizio di tutto. Ogni volta che tornava ubriaco a casa, picchiava mia madre e mia sorella Yŏngsuk, finché un bel giorno l’ho soffocato con un cuscino. Nel frattempo, mia madre gli bloccava il corpo e mia sorella le gambe. Lei aveva appena tredici anni. Il cuscino si è rotto su un lato, e ha cominciato a sputare pula di riso. Mia sorella ha provveduto a rimttere in ordine e mia madre a rammendare il cuscino. Tutto questo quando avevo sedici anni. Era finita da poco la guerra di Corea e la morte di una persona non faceva certo scalpore. Nessuno sembrava turbato dalla storia di un uomo morto a casa propria durante il sonno. Figuratevi che la polizia non si è nemmeno degnata di fare un sopralluogo per verificare l’accaduto. Abbiamo allestito semplicemente una piccola tenda all’ingresso della casa per le visite di condoglianze.

Da Memorie di un assassino, di Kim Young-ha

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Da E adesso?, di A Yi

Steso sul pavimento, in un momento di tristezza pre-partenza, ho telefonato a mia mamma. Era la prima volta che prendevo l’iniziativa. Litighiamo sempre.
Alla morte di mio padre, lei non ha versato una lacrima, anzi, si è lanciata senza paura negli affari. Vende all’ingrosso generi alimentari e bevande, anche se lei poi beve solo acqua calda. Quando arriva un carico di merce, ogni tanto trasporta lei gli scatoloni pur di risparmiare i soldi del facchino. Appena prendevo una merendina, diceva che era dannosa per la salute,perché è fritta nell’olio adulterato. Ribattevo che un grande marchio non può permettersi di truffare i clienti. Ma per lei era denaro buttato: «Se ne do una a te, per recuperare devo venderne almeno cento».
«Ma per cosa li guadagni i soldi?»
«Per te, per cosa se no?!»
«Li guadagni per me e poi non mi lasci mangiare?»
«Sono per il tuo futuro».
«Se mi viene il cancro e non riesco a mandare giù nulla, non sarà tutto inutile?» A quel punto avevo gettato la merendina. «Non riesci già più a inghiottire?» commentava lei, acida. Ero convinto che le interessassero soltanto i soldi. Ogni volta che finivo una merendina, nel suo sguardo leggevo la condanna dello spreco. Tra mille yuan e me, avrebbe scelto i mille yuan. Poi ho guardato la situazione sotto un’ottica diversa. I nostri continui e assurdi litigi avvenivano perché si preoccupava per la mia educazione. Da donna non istruita, l’unica cosa che sapeva, per esperienza personale, era guadagnarsi da vivere con il sudore, ed era l’unico potere che aveva su di me.

Da E adesso?, di A Yi

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Ayu Utami su Alias

Il supplemento del manifesto, Alias, ha dedicato un articolo alla Sastra Wangi, movimento letterario femminile nato in Indonesia alla fine della dittatura di Suharto, in conclusione degli anni ’90. Nel farlo parla di Ayu Utami e del suo Le donne di Saman, pubblicato da Metropoli d’Asia, considerato il libro iniziatore del fenomeno.

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Da Il viaggio del Naga, di Tew Bunnag

Il benefattore che entrò nella sua vita come un cavaliere dall’armatura scintillante offrendole tutto ciò che lei desiderava era proprio un principe, benché di grado minore, un momrajawong, rampollo di una lunga stirpe nobiliare che aveva servito il Paese in vari incarichi ministeriali. Khun Chai Noi aveva poco più di vent’anni e aveva studiato in America. Dopo la laurea aveva passato altri due anni a New York facendo stage in varie società di produzione cinematografica. La sua ambizione era fare cinema nel proprio Paese, dove gli sembrava ci fossero infinite possibilità che aspettavano solo di essere colte, abbondanza di materiale per le trame che aveva in mente e ricchezza di nuovi talenti. Voleva produrre film che diventassero successi sia di botteghino sia di critica. Sentiva che l’industria cinematografica thai, con il suo aiuto, sarebbe diventata adulta.

Da Il viaggio del Naga, di Tew Bunnag

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Da La ragazza del karaoke, di Claire Tham

Il cielo del mattino era coperto. Ammassi di nuvole increspate e gonfie, che più di ogni altra cosa ricordavano campi su campi di grigi topi morti, incombevano bassi sull’orizzonte. Una giornata grigio topo. Di solito, al vicecommissario Wong Cheung Fai le giornate grigio topo piacevano, con il sole velato e l’aria fresca sulla pelle. Ma quella volta no.
Si era messo a correre mentre attraversava il prato verso la piscina e si fermò scivolando vicino a una sdraio, guardando il corpo della ragazza che galleggiava a faccia in giù dentro la piscina. Era nuda, probabilmente dell’Asia orientale a giudicare dalla tonalità della pelle, con i lunghi capelli neri allargati come una coda di pavone lungo la schiena. Ben fatta, anche, osservò, senza completo distacco professionale: il busto snello, le gambe lunghe e toniche. In piedi doveva essere stata almeno un metro e settantacinque, alta e flessuosa. Così diversa dalla compattezza bassa e nervosa di sua moglie; eppure nel corpo della ragazza c’era qualcosa di stranamente familiare, che però non riuscì a individuare immediatamente. Sulla spalla sinistra si avvolgeva il piccolo tatuaggio iridescente di una libellula. Galleggiava dolcemente, poco al di sotto del pelo dell’acqua; sembrava quasi che dormisse.
Un venticello leggero agitò la superficie della piscina e i capelli della ragazza si mossero; per un attimo sembrò quasi che stesse per rialzare la testa e uscire dall’acqua e Cheung Fai sentì qualcuno trasalire – lui stesso – prima di rendersi conto che era solo un effetto del vento.

Da La ragazza del karaoke, di Claire Tham

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