Kalpana Swaminathan

Kalpana è un’amica. E sono un amico anch’io: da South Bombay a Andheri capita di sorbirsi due ore nel traffico, per incontrarsi una volta ogni tanto a parlare un po’.

Andheri è una delle nuove zone residenziali di classe media a nord, oltre l’aeroporto, e non ha niente di bello da mostrare. C’è un vialone principale piuttosto scalcinato e costantemente in costruzione (serpentine, blocchi improvvisi, cumuli di terra che rendono l’aria opaca di polvere) che esibisce pochi tronfi centri commerciali.

In realtà ci vuole di più a percorrere l’ultimo pezzo di strada fino al ristorante che non a compiere l’intero tratto sud-nord, e i tavolini sulla strada al ristorante sono un controsenso di rumore (quassù circolano i motorisciò) e fumi di scarico. All’interno ci sorprende un incongruo arredamento anni Sessanta italiani, triangoli di plastica, specchi a gogò, e sedie scomode, sembra di essere al tabarin di Milano Calibro 9, con Gastone Moschin e Barbara Bouchet.

Se vien giù lei, meglio. Mi dà appuntamento a Magna Bookstore, una piccola libreria specializzata in narrativa indiana sulla MG (Mahatma Ghandi) Road che dal Regal Cinema attraversa Kala Ghoda e Fort, tra palazzoni grigi (quelli della fantascienza alla Bilal, ne ho già detto), porticati in pietra o in ferro come le stazioni di Parigi.

Seduti a Magna Bookstore si osserva dalla finestra la David Sassoon’s Library, sassi grigi, mattoni rossi, bifore dal disegno orientaleggiante: mughal dicono qui. Dentro si svolge ogni anno un piccolo festival letterario locale, la sala superiore è tutta in legno, ci sono delle sdraio da spiaggia su cui si accomodano a leggere il giornale vecchi signori in kurta bianca e panciotto ai quali vorrei sempre chiedere la loro storia.

Magna Bookstore al primo piano ha un bovindo in legno sulla strada, lungo e stretto, ci sono cinque tavolini a tre gambe, noi consumiamo un nostro rituale privato: beviamo ginger lemonade ghiacciata.

Di Kalapana Swaminathan qui avevo trovato The Gardener’s Song, il secondo giallo della serie Lalli, una poliziotta che vive in un condominio e in un quartiere dove i vicini le chiedono di risolvere il caso di omicidio che riempie le bocche di gossip popolari.

Divertente, frizzante, quasi una guida a Bombay: era il libro giusto per cominciare Metropoli d’Asia tre anni fa, ma l’ufficio diritti del mio ineffabile ex socio (Giunti Editore) se lo perse per strada (giuro: se lo son dimenticati!). Ritrovai in Italia Lalli a marchio Kowalski come Sapori Assassini a Bombay (in realtà è la traduzione del primo libro, Page 3 Murders) , perché Lalli è un’ottima cuoca. Il libro purtroppo fu letteralmente buttato sugli scaffali, sprecato, Kalpana lo sa, e noi festeggiamo con ginger lemonade il nostro lutto comune, il mancato connubio (il secondo libro della serie non lo si è quasi visto, del terzo hanno l’opzione e chissà).

Kalpana è chirurgo. Sì, avete capito bene. Chirurgo generico, ore e ore in sale operatorie che non riesco a immaginare, a Bombay: una volta mi ha fatto un rapido elenco dei materiali che scopriva mancanti mentre era lì in piedi su un corpo umano aperto, e allora altro che detective Lalli, per trovare una soluzione all’enigma.

Kalpana non è l’unico chirurgo scrittore che incontro in Asia, sembra un po’ una moda (anche avvocati, e giudici: ma questo accade pure in Italia). Il nostro Ambarish Satwick de Il Basso Ventre dell’Impero è chirurgo vascolare a Delhi, e ogni tanto se ne trova qualcuno a Singapore, a Jakarta, a Kuala Lumpur. Ne abbiamo parlato, con Kalpana, e lei mi ha fatto un discorso che ho già sentito.

Mi ha detto che la medicina, l’anatomia, la tecnica chirurgica costruiscono linguaggi. Che formarsi su un testo accademico di medicina (costruirci sopra quindi non solo la professione, ma anche la propria giovinezza) è un esercizio mentale che va oltre la disciplina in questione, è un mondo intero che si apre. Insomma: il gergo tecnico come un mondo parallelo.

Kalpana scrive spesso in coppia: con Ishrat Syed, anche lui chirurgo che con lei si fonde nello pseudonimo Kalpish Ratna. Lalli è di Kalpana, ma Uncertain Life and Sure Death è il capolavoro di Kalpish Ratna, un impubblicabile saggio in forma narrativa su una pestilenza del XVI Secolo a Bombay che è un virtuosismo linguistico perché mezzo trattato di scienza medica mezzo racconto individuale. (A ben pensarci: e il libro del chirurgo vascolare Ambarish Satwick non è forse un trattato di linguistica applicata?).

Così come di Kalpish Ratna è Quarantine Papers, un romanzo che non ha avuto grande fortuna in patria, ma che ci presenta un fascinoso racconto dell’India coloniale mescolando medicina, storia, arte: con i loro linguaggi specifici, e il tutto shakerato nel noir.

A me viene in mente (glielo ho raccontato) un corso di scrittura tenuto da Giuseppe Pontiggia nella Milano degli anni Ottanta. C’ero anch’io, e sui gerghi Pontiggia costruì una lezione di un’ora, raccontandoci come i testi universitari di anatomia fossero tra le sue letture preferite. Ora è difficile ricordarne i dettagli, ma ricordo una sua appassionata dissertazione sull’uso degli avverbi in quei testi.

Pontiggia sosteneva che il mestiere dello scrittore non è quello di raccontare storie, ma invece quello di innovare il linguaggio: e cioè di lavorare sul filo di una lingua corrente modificandola di continuo, portandola ogni passo più in là. Mostrando dentro alla sua scrittura proprio questo gioco di frattura e ricomposizione, come un equilibrista sull’abisso.

Per chiarire il concetto con un esempio ci parlò a lungo anche di calcio. Prima ricordando il grande Gianni Brera come un Arbasino della cronaca sportiva. Poi spiegandoci che il gioco del calcio è in sé un linguaggio: infatti lega persone diverse (i giocatori di una stessa squadra) che devono al contempo capirsi tra di loro con i movimenti del corpo, e ingannare gli avversari con gerghi a loro ignoti, o nuovi. E, diceva Pontiggia, i grandi del calcio sono coloro che sanno inventare dalla tradizione un linguaggio nuovo: secondo lui il più grande fu Platini.

(Di Platini ho provato a raccontare a Kalpana, con un po’ di vergogna. E lei? Mezzora sul cricket!).

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