Informazioni, notizie, scrittura, racconto

Capisco quanto questi miei post abbiano a volte un passo che viene travolto da un andamento dello scambio di informazioni che letteralmente mi violenta, mi afferra e mi scaraventa altrove. E non è solo questione di vecchi media.

Recentemente, a Jaipur, intorno al caso Rushdie ho sbattuto il naso su Twitter, che pure MdA utilizza a piene mani, più per scelta “di marketing” che per mio desiderio diretto: insomma, si fa, si twitta, e allora restiamoci dentro anche noi. Quindi: decisione di provare una diretta twitter da Jaipur, con la sensazione di sentirmi esplodere l’hardware tra le mani.

Perché succede questo: che la mia percezione, la mia visione rasoterra del caso Rushdie, che si forma camminando sul prato e lungo i vialetti del Diggi Palace i primi giorni, incontrando scrittori, editori, giornalisti, e si forma assolutamente in diretta, non coincida con la percezione a posteriori, filtrata dalla cassa di risonanza dei media per così dire tradizionali.

Insomma, i primi giorni, dopo l’annuncio della rinuncia alla visita da parte di Rushdie, e perfino dopo l’interruzione (richiesta dagli organizzatori stessi del festival) della lettura di alcuni brani di I versi satanici iniziata per protesta da parte di quattro autori, avevo la netta sensazione che tutti volessero tenere i toni bassi, che sentissero l’argomento come distraente: l’ho già detto, in India i problemi, i fondamentalismi, i poteri, i massacri e le vite perdute sono tali e tante che ogni ‘operatore culturale’ a Jaipur sperava di poter andare oltre Rushdie, e di parlare semmai di quelli, attraverso i romanzi, i saggi, i reportage, le biografie.

La mia ingenuità è stata quella di pensare che Twitter potesse registrare questa sensazione (meglio: questa realtà dei fatti). E quando dico Twitter estendo la definizione a tutto il mondo della comunicazione in rete, quindi Facebook e i blog, anche quelli giornalistici, che vorrebbero rappresentare uno spazio di formazione della notizia diverso (appunto: con un altro passo), e invece secondo me non ci riescono.

È il Festival di Jaipur che è risultato violentato dalla notizia. Invano si è cercato di contestualizzare (ho apprezzato lo sforzo di qualche giornalista indiano di ricordare come un artista dal cognome musulmano, Husseini, sia stato di recente preso di mira dal fondamentalismo opposto, quello dominante in India, cioè quello induista). Gli organizzatori ne sono stati travolti, il loro tentativo di gettare acqua sul fuoco è stato successivamente scambiato per pompieraggio, sabotaggio della protesta.

Perché il caso è montato DOPO, il fatto. La notizia ha preso il sopravvento, è stata ripresa dai media internazionali (che viaggiano con il pilota automatico), ed è letteralmente esplosa nel momento in cui il fatto si stava sgonfiando, e a Jaipur si parlava sì di induismo e islam, o di politica e partiti, o di libertà di espressione, ma argomentando e dialogando, facendo riferimento all’India reale, vera: quella che si vede in modo chiaro tenendo lo sguardo rasoterra, a altezza d’uomo (ecco, a proposito: una volta si diceva: andare a passo d’uomo).

La delusione sta nel vedere come i cosiddetti “nuovi media” si siano adeguati piattamente a questo andamento, divenendo casse di risonanza de La Notizia. Altro che democrazia dell’informazione, pluralità delle voci.

E mentre io mi ritrovo oggi, finalmente, a conversare con partecipazione e interesse insieme a un editore locale e a un esperto indiano di letteratura bengali e a un sinologo italiano con una conoscenza straordinaria delle relazioni tra la cultura asiatica e quella europea, tra persone piacevoli, intelligenti, che mi dicono: è triste come 200 integralisti possano trascinare una nazione intera a parlare di loro. Mentre io ritorno nel mondo reale, qui a Kolkata, alla Fiera del libro, il dibattito sul caso Rushdie comincia a lievitare.

Non c’è niente da fare: se voglio restare col mio passo a raccontare l’Asia che vedo, dal basso, sguardo altezza uomo, bisogna che me ne resti lontano dalle notizie. Dai media vecchi e nuovi.

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