Strofinava con perizia, scrupolo, durezza, come se stesse raschiando le assi di una porta, e mentre cercava di infilargli l’abito funebre si accorse che le sue mani, un tempo tornite e possenti, avevano perso peso, pendevano a casaccio, e tutto quanto il suo corpo ondeggiava avanti e indietro seguendo la gravità terrestre come la testa di un neonato insonnolito. «Mettiti a sedere», gli ordinò a mezza voce, e nel suo tono rabbioso si sentiva che lei era la moglie abbandonata, che sarebbe stata in eterno la sua sposa (la sola, per meglio dire), la somma di tutte le sue donne, moglie, sorella, madre. «Sono dieci anni e passa che ostenti la tua forza, ti prego, adesso alzati».
«Si è solo appisolato, non può essere morto». Jin Yan, che era nativa dello Hubei, continuava a sbandierarlo ai quattro venti.
Da Svegliami alle nove domattina, di A Yi
Posted by Metropoli d'Asia on gennaio 1, 2019
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