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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post su autori

Ritorno in India

Quando pubblicammo Il mio ragazzo di Raj Rao quasi due anni fa, Mario Fortunato ne scrisse sull’Espresso: «E’ un romanzo che farei leggere nelle scuole». Era la storia di un amore omosessuale a Bombay, scritta da un attivista per i diritti dei gay in India.

Questi sono invece i racconti di uno scrittore colto, raffinato, ironico, capace di scandagliare luoghi e persone della sua città come pochi altri. R Raj Rao è dotato di una versatilità non comune che gli consente di presentarci una finta intervista al famoso scrittore, o lo schema di un trattamento per la televisione, oppure la storia di una relazione omosessuale attraverso le lettere che i due protagonisti si scambiano.

Sa anche essere esilarante, come ne L’assassinio di Salman Rushdie il cui protagonista non è che il proprietario di un’officina meccanica, ma è quasi il sosia del famoso scrittore, e si trova a firmare autografi, e poi a cercare di sottrarsi al linciaggio da parte di un gruppo di fondamentalisti islamici, apparendoci sempre come più simpatico, più umano e meno carogna del suo celebre alter ego.

C’è una critica alla società letteraria, nei racconti di Rao, e il personaggio che visita la Trinidad, patria di V.S. Naipaul, non sembra aver peli sulla lingua.

Ma c’è anche un giovane adulto, figlio di un ferroviere, che percorre l’India in treno spinto da una propria ossessione, o un giornalista cosmopolita che appunta sul proprio block notes il disappunto per la visita imminente di un parente indesiderato.

E poi il racconto che dava il titolo alla accolta originale in inglese, quel quasi intraducibile One Day I Locked My Flat In Soul City, di cui noi non potevamo rendere in italiano la musicalità e il ritmo, allucinato resoconto di un uomo che, uscendo di casa, si trova immerso in una fiumana di persone in cammino verso una meta sconosciuta. E accompagnarla, questa massa indistinta di corpi odori rumori gesti e espressioni, è facile, ma risalire la fiumana per tornare a casa è ardua impresa. E una volta ritornati, con fatica, al proprio appartamento, si chiude la porta a chiave.

È bello tornare in India dopo dodici mesi (dopo Dangerlok di Eunice De Souza). È bello ritornare nella Smog City di Amruta Patil che abbiamo visto a Ferrara di recente, e ritrovarla SOUL. È bello chiamarla Bombay, come fanno gli scrittori, e non Mumbai, come fanno i partiti della destra induista.

Godetevi questa intervista: un intellettuale vero.

Autobiografia di un indiano ignoto è in libreria da oggi, 16 novembre.

Il fenomeno della freemium fiction in Cina

Tra fiuto per gli affari e sfruttamento delle nuove tecnologie, prende piede in Cina la cosidetta freemium fiction, come spiega Publishing Perspectives in un articolo segnalato da Finzioni.

Non è una novità assoluta: molti degli autori giovani che più tardi hanno guadagnato notorietà anche internazionale hanno cominciato postando su Internet i loro lavori, che anche prima di essere poi pubblicati su carta in Cina erano conosciuti magari da centinaia di migliaia di lettori (ma in Cina i numeri sono sempre enormi, il paese è bello grande, come si sa).

Il nostro Han Han cominciò così la sua carriera: e il successo fu tale da poroiettarlo entro pochi mesi dentro all’editoria ufficiale.

Il sistema della freemium publishing è in realtà interessante per i suggerimenti che può fornire a noi editori italiani, che stiamo qui a domandarci perchè l’eBook non decolla nel nostro paese. E la risposta è: il Web ha regole sue.

L’idea di rendere disponibile sotto forma di rivista o antologia che esce a scadenze regolari dei romanzi che il lettore può iniziare senza pagare, decidendo solo in seguito se acquistare il libro completo è solo un indizio di quel che potrebbe succedere a breve anche in Europa.

Ad esempio cliccando qui  si può scaricare l’anteprima del nostro Le Tre Porte, di Han Han. Se ne possono leggere le prime pagine, e se piace lo si acquista.

Malesia Rock?

Brian Gomez vuole scrivere il sequel di Malesia Blues. Ma non trova il tempo.

Videomaker per la pubblicità, ha impegni continui e senza orari, spesso (crisi per tutti) non pagati o dilazionati allo sfinimento (cioè: mi dovevano tre e mi accontento di uno, dice lui). È stufo.

Tra l’altro ci sono buone prospettive per la realizzazione di un film da Malesia Blues (Devil’s Place in inglese): una importante casa di produzione (niente nomi per ora) gli ha comprato un trattamento, un regista è stato scelto. Naturalmente sarà in malay, per un pubblico locale. Ma l’industria cinematografica malese è una delle più importanti del continente, i suoi film girano il mondo, chissà.

La sua voglia di scrivere è genuina, urgente. Mi racconta la trama non solo del suo secondo romanzo, ma anche del terzo. Certi personaggi ritornano, altre figure secondarie divengono protagonisti di una narrazione che non disveliamo qui, lasciamola correre in libertà dentro alla testa di Brian e alle sue dita sui tasti del computer.

Ma come trovare il tempo per lavorare ogni giorno, quattro o cinque ore? Capisco che non sia solo questione di tempo, ma di tempi: Brian, che virava sul grassottello come tutti gli indiani alla sua età, è dimagrito per la frustrazione di un lavoro che lo costringe a lunghe trattative, a orari che non può controllare, a continui scambi di informazione via cellulare.

Me ne ha mostrato la cronologie e dice: come faccio a scrivere se mi chiamano ogni venti minuti, e molte volte è per dirmi che di un dato lavoro non se ne fa nulla, o che non possono pagarmi prima di sei mesi?

Quindi ci vuole un lavoro a orari fissi, possibilmente la sera. Brian Gomez, che come il Terry Fernandez di Malesia Blues ha passato un molti dei suoi anni giovanili a suonare blues nei locali, ha il suo progetto.

Cinque sere la settimana, una band già avviata, richieste da tutte le parti e un chitarrista disposto a tenere i contatti con i proprietari dei locali. Si chiamano Have-Nots, eccoli qua.

Li ho sentiti un sabato sera al ChillOut, un grosso bar all’aperto sulla terrazza di uno shopping mall, Subang Parade, che fa da centro di gravità per Petaling Jaya, un sobborgo residenziale da classe media a un bel venti chilometri dal centro di Kuala Lumpur.

Bassista cinese, seconda voce e chitarra solista malay, batterista bianco. Brian Gomez è di origine indiana. Suonano evergreen del pop anni settanta per scaldare il pubblico, e poi un sacco di roba sua, composta da lui, riarrangiata e vissuta da lui, a metà strada tra il rock e le sonorità del pop malay. Mooolto interessante!

Isa Kamari

Isa Kamari è uno scrittore di lingua malese. E dovrei aggiungere: di razza malese, di cultura malese, e musulmano come tutti i malesi. Dei suoi otto romanzi, tre sono stati tradotti in inglese.

Due di questi, curiosamente, hanno lo stesso soggetto: l’adozione da parte di una famiglia malese e musulmana di una bambina olandese (il titolo del romanzo è Nadra) in un caso, e cinese (One Earth) nell’altro.

Kamari vuole raccontare le persecuzioni sofferte dal suo gruppo etnico, in diversi momenti storici, durante la dominazione coloniale olandese e britannica, durante l’occupazione giapponese, ma anche, a Singapore, con l’indipendenza.

Come molti autori musulmani dell’area (in Malesia avevo incontrato e poi letto in traduzione Samad Said e Faisal Teherani) l’intenzione è talmente soverchiante da rendere la lettura difficile a un laico. Non c’è niente da fare: la religione rivelata impedisce allo scrittore di dispiegare pienamente le sue capacità, che pure sono notevoli. Solo in One Earth questo nucleo indiscutibile riesce a restare sullo sfondo.

I romanzi di Kamari sono sempre a tesi, e quindi imprigionati entro uno spazio ristretto, le storie non prendono il volo. Come per i due autori malesi che ho citato, l’autore non sa mai prendere distanza dall’oggetto del suo racconto, non è in grado di cogliere i chiaroscuri.

Ho incontrato Isa Kamari di fronte a una tazza di caffè. Mi ha descritto il suo ultimo romanzo, Embracing the Eclipse, fortemente autobiografico, centrato sulla propria giovanile adesione (erano gli anni settanta) a un islam militante – se pur ancora non integralista e fondamentalista – che però gli appariva come l’unica strada percorribile per cercare un riscatto dall’oppressione subita dalla sua razza.

È un romanzo autocritico, così come Kamari è critico con ogni forma di integralismo contemporaneo (si dice convinto che dopo due decenni i movimenti fondamentalisti abbiamo i giorni contati, e ne è contento). «Vorrei far capire quanto ingenua ma onesta fosse la mia carica di ribellione, e come sia stato un errore cadere preda degli assolutismi».

Purtroppo, e lo dico con rammarico, la sua scrittura non riesce a discostarsi da un registro apologetico, da un afflato religioso mai messo in discussione.

Mi regala una perla: non riesce a capire l’ossessione del cattolicesimo nei confronti del piacere sessuale, che l’Islam invece esalta come cemento nelle relazioni, anche familiari, tra l’uomo e la donna. E la negazione del diritto al divorzio, che l’Islam invece accetta come normale, prevedendo, a suo dire, modi e regole per proteggere le donne.

Ho fantasticato su un romanzo che tratti l’argomento: che so, una donna musulmana che sposa un cattolico e non capisce le sue reticenze. Lui rideva.

Due artisti indiani a Ferrara

Amruta Patil, autrice del nostro Nel Cuore di Smog City, e Sarnath Banerjee, noto graphic novelist indiano, insieme sul palco della Sala Estense a Ferrara, nel contesto del Festival di Internazionale.

Due personalità agli antipodi: maglietta e calzoncini corti per Banerjee, che sembrava determinato a offrire di sé una immagine da artista underground: mi ha detto «Io sono un cattivo ragazzo, e questo fa di me un artista. Devo stare sempre sulla corda, se cominciassi a sentirmi troppo tranquillo rischierei di trasformarmi in un bravo ragazzo…». E sul fumetto in generale: «Ero più interessato a questa forma di espressione qualche anno fa, quando aveva ancora un’aura da arte underground. Ora mi sembra diventato una roba di culto, e a me il cult non interessa».

In realtà sul palco ci ha poi voluto raccontare come dal suo punto di vista il fumetto (disegno, scrittura, spazio, narrazione) è lo strumento perfetto nel quale raccontare ciò che ha in testa.

Amruta Patil, lunghi capelli neri attorno a un ovale gentile, indossava un lungo vestito colorato, sul viola. E raccontava se stessa non come una graphic novelist, ma come una scrittrice e disegnatrice. Colpisce lo scarto tra la Kari protagonista del suo racconto – capelli corti, un’arietta da ragazza punk europea, lo sguardo aggressivo, e Amruta ha sempre dichiarato che in Kari c’era qualcosa di sé – e la Amruta Patil di oggi, romantica e aggraziata, a volte timida.

La spiegazione sta nelle sue parole intorno a Parva, il racconto a immagini tratto da un brano del Mahābhārata al quale sta lavorando da anni: «Il Mahābhārata – ha detto – non è un epica religiosa o solamente storica. È un libro che parla del comportamento delle persone, del loro modo di vestirsi e fare all’amore, di ciò che è giusto o sbagliato nel relazionarsi con gli altri». Amruta è giusta, dolcissima, forse risolta dopo il successo del suo primo racconto con immagini.

Gran ressa attorno a lei, le copie del suo libro sparite in un fiato e da lei sigliate con disegni originali per ciascun lettore.

Il nuovo numero di Out of Print, con Annie Zaidi

Segnaliamo l’uscita dell’edizione di settembre di Out of Print, rivista online indiana di racconti brevi che con questo numero celebra il suo primo anniversario.

Le storie, tradotte in inglese e disponibili gratuitamente sul sito, spaziano su vari temi soprattutto legati a società e rapporti interpersonali. Tra queste anche un racconto di Annie Zaidi, che uscirà con il suo Known Turf a gennaio per Metropoli d’Asia.

Han Han e il sistema scolastico cinese

Una lettura che può essere interessante suggerire in questo periodo è un vecchio post di Han Han sull’abolizione dei temi scolastici, pubblicato nel 2008 in una raccolta di pezzi tratti dal suo blog, e tradotto in italiano da China-Files. Interessante perché in Le Tre Porte, il primo romanzo di Han Han uscito da qualche giorno in Italia pubblicato da Metropoli d’Asia, lo sfondo della narrazione è proprio nel sistema scolastico cinese.

Nella prima parte del post di Han Han sono evidenti alcune critiche a un sistema didattico che «non permette di esprimere le idee», ma la seconda parte è forse anche più gustosa nell’analizzare più in generale l’attività della scrittura (imposta) in rapporto alla lettura, «molto più utile di tanti temi scolastici che indeboliscono le capacità di scrittura e intervengono anche sul tuo subconscio».

Foto: Tricia Wang 王圣捷

Essere Parsi in India

A Mumbai se ne parla e se ne scrive molto. Di Meher Pestonji ho visto una bellissima piece tatrale intitolata Feeding Crows (il titolo gioca ovviamente sulla tradizione della sepoltura all’aria aperta sulle torri del silenzio dove i corpi dei deceduti sono lasciati in pasto ai rapaci, e la comunità parsi non può che fare dell’ironia, sdrammarizzando, sulla scomparsa delle aquile pescatrici e degli avvoltoi nella moderna Mumbai).

Pestonji ha anche pubblicato una bella raccolta di racconti, ambientati nel grande compound lungo Colaba Causeway che è impossibile non notare visitando Bombay – Mumbay: un alto muro e un portale faraonico introducono a una vera e propria piazza sulla quale si affacciano i condomini dove vivono le famiglie parsi, rigorosamente endogamiche.

Cyrus Mistry (Le Ceneri di Bombay, Metropoli d’Asia editore), ci racconta l’insofferenza delle giovani generazioni alla pratica coatta dei matrimoni endogamici (quando si dice che i Parsi si stanno estinguendo si dice in realtà che diminuisce il numero dei Parsi di “razza pura”): Jingo, il protagonista del romanzo è un parsi la cui relazione con una ragazza cattolica lo mette in conflitto con la famiglia, anche se del romanzo questa è una linea narrativa secondaria. Ma non a caso il Jingo scrittore appassionato, furiosamente in caccia dei criminali politico affaristi nella metropoli è un parsi: come tutte le comunità minoritarie i Parsi hanno espresso scrittori, artisti, intellettuali.

Foto: ganuulu

Han Han visto dal New Yorker


Capire esattamente la ragione della fama così estesa di Han Han in Cina è difficile. E cosa ci dice della Cina la sua importanza nel paese? (…) Ma basta osservare per qualche mese le reazioni dei suoi fan e ciò che lui stesso scrive, per rendersi conto che la sua innovazione di successo è un tipo di humor molto particolare. Come fu per Henry Ford e l’automobile, Han Han non ha inventato la satira politica in Cina, ma l’ha messa a disposizione di vaste masse di giovani.

Così scrive Evan Osnos sul New Yorker in un bell’articolo, insieme a un suo profilo scritto in precedenza. Ma l’osservazione di Osmos ci spiega molto della cifra narrativa di Han Han, che riesce a scrivere romanzi densi di ironia e scene esilaranti.

Osnos cita Eric Abrahamsen di Paper Republic che riferisce a sua volta su Foreing Policy di un post di Han Han a commento della notizia di un gruppo di pescatori che, ritrovato in un fiume il corpo di un ragazzo annegato, chiesero alla famiglia di pagare per la restituzione della salma.

Con questa scelta stilistica Han Han raggiunge due obbiettivi: diverte il lettore, e si rende meno identificabile dalla censura. Come scrive Abrahamsen, Han Han “copre tutta la gamma tra il sarcasmo e la sottigliezza, senza risparmiarsi una legittima furia”. Che poi la sua scrittura non soddisfi gli accademici, beh, questa è altra storia.

Amruta Patil in Italia

Alcuni appuntamenti nei quali sarà possibile incontrare Amruta Patil. Il primo è domenica 2 ottobre alle 11,30 a Ferrara, all’interno del Festival di Internazionale. Con lei il disegnatore indiano Sarnath Banerjee e il belga Denis Deprez, e la moderazione dello storico e critico dell’immagine Ferruccio Giromini. Chiaramente consiglamo anche di dare un’occhiata più generale al programma del festival, come sempre ricchissimo di spunti interessanti.

Il mini-tour prosegue il 5 ottobre, alle 18, con una presentazione a Firenze della graphic novel Nel cuore di Smog City, nello spazio culturale Ganzo in via dei Macci 85r. Introduce l’evento Cinzia Zanfini.

In più, una piccola anticipazione dell’Asiatica Film Mediale, festival del cinema asiatico di Roma che presenterà tra poco il suo programma: Amruta Patil interverrà il 20 ottobre nella sezione Asia di Carta, di nuovo con Sarnath Banerjee.

Nel cuore di Smog City, di Amruta Patil

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