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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post su kim young-ha

Da Ho il diritto di distruggermi, di Kim Young-ha

K era tornato dopo cinque anni di assenza solo quando aveva saputo della scomparsa della madre. Dopo aver lasciato la scuola superiore era andato via di casa, e da allora era cambiato molto più di quanto ci si potesse aspettare. Il giorno del funerale, K aveva comunicato che preferiva non partecipare alla cerimonia: né il fratello né altri avevano cercato di fargli cambiare idea. E proprio nel momento in cui la terra ricopriva la bara della madre, lui se ne stava lì sul divano a spassarsela con Giuditta. C aveva messo a confronto la fatica che aveva fatto per organizzare il funerale della madre con il piacere carnale del fratello. Si era sentito stanco. Una volta entrato in camera da letto, si era addormentato con i vestiti ancora addosso.

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Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

«Come esistono persone che fanno collezione di spade o guardano solo film improponibili…», aveva provato una volta a giustificarsi, «…così esistono anche persone che si dedicano al porno: che cosa c’è di male?».
Kiyŏng non aveva potuto fare altro che limitarsi ad assecondare quell’arringa, trattenendo un commento che sarebbe suonato più o meno così: «Caro mio, è tutta questione di fascino. Se tu avessi anche una micropuntina di fascino, questo tuo vizietto non creerebbe problemi a nessuno. Difatti, da uno che ha fascino si accetta di tutto: azioni immorali, menzogne e perfino crudeltà di ogni tipo. Al contrario, nessuno potrà mai perdonare a un povero spelacchiato come te, per giunta ridotto a lavorare in un’azienda sfigata come la nostra, il vizio di essere un maniaco sessuale!».

Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

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Da Memorie di un assassino, di Kim Young-ha

Ho fatto una risonanza. Mi sono steso su un lettino – una sorta di bara bianca – e sono stato inghiottito dalla luce. Mi è sembrata un’esperienza ai confini della morte. Ho immaginato di librarmi nell’aria e di osservare il mio corpo dall’alto. La morte gli era proprio a fianco. Ormai era chiaro. Non mi restava molto da vivere.
Dopo una settimana mi sono sottoposto a un test sulle capacità cognitive e su qualcos’altro che non ho capito bene. Il medico mi ha posto dei quesiti a cui dovevo rispondere. Le domande erano semplici, eppure non trovavo le risposte. Mi sentivo come quando infili le mani in una vasca piena di pesci e, appena cerchi di tirarne fuori uno, quello ti sguscia tra le dita. «Chi è l’attuale Presidente della Repubblica? E in che anno siamo? Provi a ripetere tre delle parole che ha appena ascoltato. Quanto fa diciassette più cinque?» Avevo tutte le risposte sulla punta della lingua, ma non riuscivo a pronunciarne nessuna. Lo sapevo eppure non lo sapevo: Dio mio, com’era possibile?
Alla fine degli esami ho incontrato il dottore. Aveva un’espressione tutt’altro che radiosa.
«L’ippocampo si è atrofizzato», ha affermato leggendo il referto della mia risonanza. «Non ci sono dubbi: lei è affetto da Alzheimer. Non sappiamo a che stadio, però. Per capirlo dovremo tenerla sotto osservazione».
Ŭnhŭi, che mi era seduta accanto, è sprofondata in un silenzio di tomba.
«I suoi ricordi scompariranno un po’ alla volta», ha aggiunto il dottore. «Questo fenomeno riguarderà prima la memoria a breve termine e i ricordi recenti. Possiamo sempre cercare di ritardare questo processo, ma non saremo in grado di interromperlo. Per il momento la prego di prendere con regolarità le medicine che le prescrivo. Poi tenga un diario di tutto ciò che le accade e lo porti sempre con sé. Sa, è probabile che in futuro non sarà nemmeno più in grado di tornare a casa da solo».

Da Memorie di un assassino, di Kim Young-ha

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Da Ho il diritto di distruggermi, di Kim Young-ha

L’auto con a bordo C e Giuditta era ferma ormai da cinque ore sull’autostrada all’altezza del valico di Hangye. Al suo interno i due non facevano nulla, se non attivare ogni tanto il tergicristallo per rimuovere la neve che si accumulava sul parabrezza. Alla radio stavano dicendo che una bufera del genere non si vedeva da vent’anni. La causa apparentemente era una saccatura formatasi in Cina che si era scontrata con una massa d’aria proveniente dalla Siberia. Le auto in fila sulla carreggiata non si muovevano di un millimetro e le catene non potevano nulla contro quella neve che si era depositata fin sul paraurti.
Nei paraggi non si scorgevano abitazioni e, come se non bastasse, stava calando il buio. Il cielo era stato plumbeo fin dalla mattina, e dopo le cinque l’oscurità aveva completamente inghiottito il paesaggio circostante. Quando C fece per mettere in moto il tergicristallo, Giuditta, intenta a limarsi le unghie, interruppe quel lungo silenzio.
«Lascia perdere. È meglio non vedere quello che c’è  fuori».
Quando il tergicristalli si fermò, bastarono pochi attimi perché tutto il parabrezza si coprisse di neve. L’interno dell’auto era buio e a malapena si vedevano, diafane, le luci dei fari. C riusciva a distinguere solo il profilo di Giuditta. In fin dei conti, sebbene la vista fosse affaticata dall’aria secca dell’auto, quell’atmosfera era confortevole.

Da Ho il diritto di distruggermi, di Kim Young-ha

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Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

Si era sempre salvato con un semplice espediente: il ricatto. Se fosse stato accusato, avrebbe potuto rivelare i nomi di personaggi molto in vista che si procuravano il fumo da lui. Ciò che Mari non riusciva davvero a concepire era come fosse possibile che quei divi, una volta rimessi in libertà, tornassero da lui come se niente fosse e senza provare neanche una punta di rancore nei suoi confronti: si era rassegnata a credere che fosse un altro effetto causato dalla dipendenza. Quell’uomo sembrava nascondere un talento che gli consentiva di ammaliare gli altri, eppure più lo guardava e più le sembrava un maestro di banalità, un qualunquissimo uomo di mezza età. Non superava il metro e settanta di altezza e anche il suo viso non era certo quello di un Adone. Lavoravano insieme già da cinque anni, ormai, e ciò nonostante non aveva mai trovato in lui nulla di attraente. Eppure si era già sposato per la seconda volta, tra l’altro con una ex modella, e anche dopo il matrimonio era sempre circondato da ragazze: a Mari non restava che pensare che avesse delle doti nascoste.

Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

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Da Memorie di un assassino, di Kim Young-ha

Ho continuato a seguire quel corso di poesia per un bel po’. Mi ero ripromesso di eliminare l’insegnante, se il corso non si fosse rivelato di mio gradimento, ma per sua fortuna le lezioni non sono state malaccio. Il poeta mi ha fatto ridere spesso e ha perfino tessuto le lodi di due miei componimenti. In questo modo si è guadagnato la mia clemenza, ma probabilmente non sa nemmeno di dovermi essere grato. Tempo fa mi è capitato di leggere la sua ultima raccolta di poesie – mio Dio, che delusione! Vi giuro, mi sono mangiato le mani per non averlo tolto di mezzo a tempo debito. Ma vi rendete conto? Perfino io, un killer provetto, a un certo punto mi sono rassegnato all’idea di dover tirare i remi in barca e lui, con la sua vena poetica da strapazzo, continua imperterrito a scrivere. Che faccia di bronzo!

Da Memorie di un assassino, di Kim Young-ha

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Claire Tham e Kim Young-ha sul blog di Lorenzo Mazzoni

Nel suo blog ospitato all’interno del sito de Il Fatto Quotidiano, Lorenzo Mazzoni ha parlato di Claire Tham, autrice di La ragazza del karaoke, e di Kim Young-ha, autore di Memorie di un assassino, nonché di Ho il diritto di distruggermi e L’impero delle luci. Nel post ci si sofferma in particolare sulla trama e la struttura dei due romanzi.

La ragazza del karaoke, di Claire Tham (traduzione di Giovanni Garbellini), forse il romanzo più bello che abbia letto nei primi mesi di quest’anno, narra del ritrovamento del corpo di una ragazza cinese, Ling, annegata in una piscina di un complesso residenziale all’Intlet, zona esclusiva per super ricchi di Singapore. Le accuse cadono su Jasper Gan, rampollo ribelle, nipote di Willy, immobiliarista senza scrupoli. Ma non tutto è come sembra e attraverso una trama avvincente, che mette in campo un’indimenticabile affresco di personaggi, l’autrice conclude il romanzo in modo inaspettato.


Memorie di un assassino, di Kim Young-ha (traduzione di Andrea De Benedittis), è un romanzo breve con un intreccio originale, capace di sorprendere il lettore fino alla fine. Cupa, opprimente,metafora della realtà coreana, la scrittura di Kim Young-ha (di cui mi sono già occupato in passato), ci porta a seguire le gesta del vecchioKim Pyongsu, un tempo spietatoseriar killer che a seguito di un’operazione al cervello, conseguenza di un incidente di macchina, è costretto a smettere di uccidere.

(continua a leggere sul blog di Lorenzo Mazzoni)


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Da Ho il diritto di distruggermi, di Kim Young-ha

Parlo a lungo con i miei clienti, fino alla fine, fino al momento del nostro commiato: della loro storia famigliare, del loro percorso di crescita, dei loro amori, dei loro successi e fallimenti, dei libri che hanno letto, dei pittori e della musica che preferiscono. La maggior parte delle persone parla senza troppe riserve e in quegli incontri perde ogni remora. Quando finisco di ascoltare le loro confessioni, però, alcuni decidono di rescindere il nostro contratto. Ovviamente restituisco il denaro che ho ricevuto, tranne il primo acconto. Molti poi ci ripensano e tornano: a quel punto quasi tutti onorano il patto senza più discutere.
Quando riesco a portare a termine un progetto senza inconvenienti, parto per un viaggio, e al mio rientro mi ispiro alla storia dell’ultimo cliente per scrivere un racconto. Compio così un ulteriore passo avanti per diventare una divinità a tutti gli effetti. Ai giorni nostri, chi vuole diventare un dio ha davanti due strade: la creazione o l’omicidio. Ma non da tutti i miei progetti nasce una storia. Solo i clienti più meritevoli hanno il privilegio di rinascere dalle mie mani. Questo processo è doloroso, ma è l’unico che mi permetta di provare compassione e amore per loro.

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Kim Young-ha intervistato su Famiglia Cristiana

Kim Young-ha è stato brevemente intervistato da Famiglia Cristiana sul suo ultimo libro pubblicato da Metropoli d’Asia, Memorie di un assassino. Oltre che della storia del libro si è parlato anche delle sua ispirazioni.


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Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

Con prontezza sorprendente il poliziotto sfilò dalla tasca un pacchetto e glielo porse. Sigarette al mentolo: chi avrebbe pensato che un tipo come lui potesse fumarne? Mari ne prese due e gli rivolse un sorriso, come in attesa di un suo consenso: il poliziotto apparentemente non sembrava contrariato. Gli restituì il pacchetto, e lui commentò divertito: «Si vede che anche lei gradisce quelle al mentolo…».
Mentre lo ringraziava, il poliziotto le avvicinò l’accendino. Mari rifiutò con garbo e tornò ad accomodarsi in macchina. Accese la sigaretta e fece un tiro. Se il braccio sinistro non le avesse dato problemi, avrebbe potuto tranquillamente godersela mentre guidava, ma quel giorno purtroppo non le era possibile. Il suo cervello reagì alla nicotina ancora prima che potesse arrivare ai polmoni, mentre a pochi passi il poliziotto e il conducente della jeep fissavano, attraverso il parabrezza, il piccolo bagliore della sua sigaretta. Il fumo usciva a lunghi sbuffi dal tettuccio apribile dell’auto, come dalla ciminiera di un forno crematorio. Subito dopo tornò a pensare alle sue prime volte. Quand’era stata, per esempio, la prima volta che aveva saputo che le persone muoiono? Quasi subito, come se quel ricordo fosse già pronto nella sua testa in attesa da chissà quanto tempo che qualcuno formulasse la domanda giusta, le balenò nella mente un episodio del suo passato.

Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

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