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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post su autori

Il documentario su Nabarun Bhattacharya, raccontato su China Files

Su China Files si parla di Nabarun, del regista bengalese noto come Q, documentario su Nabarun Bhattacharya, autore con Metropoli d’Asia di Gli ammutinati di Calcutta. Il film era stato presentato lo scorso settembre a Roma, nel corso di Asiatica Film Mediale.

Nell’articolo Matteo Miavaldi, esperto di India, mette l’accento sul carattere inquieto dell’autore, sulle sue critiche alla società ritenuta troppo imborghesita nel quadro di una Calcutta undergound e turbolenta.

La vita di Nabarun Bhattacharya, morto a 66 anni per un cancro all’intestino, è stata un inno al disagio non accondiscendente, alla rabbia della strada contro i padroni, gli intellettuali, la società del consumo e la repressione della polizia, che proprio a Calcutta negli anni ’70 si abbatté con violenza contro una generazione di attivisti vicini e spesso – come lo stesso Nabarun – sovrapposti agli ideali rivoluzionari maoisti del naxalismo. Una vita passata a raccontare il proletariato e il sottoproletariato bengalese adottandone non solo lo sguardo prospettivo ma soprattutto il linguaggio crudo, diretto e sboccato, una lingua bengali «pura» contrapposta all’intellettualismo salottiero che contraddistingue l’élite colta e «di sinistra» calcuttina.

(continua a leggere su China Files)


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Xiaolu Guo sulla Brexit

Xiaolu Guo, autrice con Metropoli d’Asia di La Cina sono io e 20 frammenti di gioventù vorace, aveva pubblicato qualche tempo fa un testo, tradotto dal Corriere della Sera, con sue considerazioni sul referendum che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. L’autrice, residente a Londra da diverso tempo, ci porta in un viaggio tra amici e conoscenti nei momenti successivi al voto.

Ho chiamato i miei migliori amici di Londra (sono per la maggior parte europei che vivono in Gran Bretagna da anni), e li ho invitati a una veglia post-referendum. Abbiamo bevuto birra belga e vino italiano (l’origine dei prodotti all’improvviso era diventata importantissima). È arrivata la mezzanotte e siamo finiti a camminare lungo il Regent’s Canal, in preda alla tristezza, sotto il cielo inglese senza stelle. Le luci si erano spente in tutta Europa e le nubi invisibili sopra di noi erano il presagio di un temporale imminente.

(continua a leggere sul Corriere della Sera)


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Da 20 frammenti di gioventù vorace, di Xiaolu Guo

Puoi controllare e ricontrollare tutti i dizionari cinesi che vuoi: non troverai mai la parola che sta per “romanticismo”. Noi diciamo “Lo Man”, copiando la pronuncia inglese. E comunque, che razza di fottuta utilità poteva avere per me una parola come romanticismo? In Cina non ce n’era molto, e Pechino era il luogo meno romantico dell’universo. «Prima mangia e poi parla», come dicono gli anziani. In ogni caso, tra me e Xiaolin il romanticismo era pari a zero.
Ci siamo conosciuti quando recitavo in una serie televisiva ambientata nella corte imperiale della dinastia Qing. Tutto il set riproduceva il modo in cui si viveva trecento anni fa. Le peonie nei vasi erano di carta, e di plastica i fiori di loto nello stagno. Io avevo la parte di una delle tante ancelle della prin-cipessa, parte che mi imponeva di portare una folta treccia finta. Era pesantissima e mi faceva pendere la testa all’indie-tro. L’assistente al trucco mi aveva dato un’occhiata sdegnosa e aveva storto il naso davanti alla lunghezza dei miei capelli, poi li aveva afferrati in un pugno e aveva attaccato quell’enor-me treccia. Nelle scene in cui comparivo dovevo camminare solennemente nel palazzo, versare il tè per la mia principessa o acconciare i suoi capelli. Il tutto senza parlare, ovviamente.

Da 20 frammenti di gioventù vorace, di Xialu Guo

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Da Autobiografia di un indiano ignoto, di R. Raj Rao

Non mi ci volle molto a scoprire che in India è piuttosto facile vivere su un treno. Per trovare cibo e amici ci si rivolge sfacciatamente ai compagni di viaggio. Si evitano facilmente i capitreno e il personale ferroviario in genere schizzando nel gabinetto ogni volta che compaiono. E se poi ci si fa crescere barba e capelli come poi alla fi ne feci io, se si indossano vestiti sciatti e sporchi, si fi nisce con l’essere scambiati per un sadhu e si riceve l’elemosina; in questo modo si può tirare avanti senza guadagnarsi da vivere.
Il giorno successivo, da Secunderabad feci ritorno dai genitori che trovai talmente in ansia da essere inclini al perdono. Ricominciai a frequentare l’università. Ero il fi gliol prodigo, ancora immaturo. Mi ci vollero molti più anni, durante i quali ci furono diverse false partenze, tentativi di mettersi su un treno e piantare in asso i miei genitori dopo una lite, per arrivare a trovare il coraggio di rinunciare alla vita domestica e diventare un vagabondo senza meta.

Da Autobiografia di un indiano ignoto, di R. Raj Rao

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E adesso? consigliato da Andrea Marcelloni su agiChina

Andrea Marcelloni della Libreria Pagina 2, specializzata sull’Oriente, riprende la sua rubrica di segnalazioni letterarie su agiChina e lo fa con E adesso?, il libro di A Yi recentemente pubblicato da Metropoli d’Asia.

Opera prima di un autore che prima di diventare scrittore ha fatto tanti mestieri diversi, compreso il poliziotto, e che quindi conosce la realtà cinese forse meglio di molti altri suoi colleghi, “E adesso?” è un romanzo breve – poco più di cento pagine, lo si può leggere nell’arco di un fine settimana –  strutturato in sedici piccoli capitoli, come se fossero dei mini racconti, in cui viene raccontata la storia di un adolescente che assassina brutalmente e apparentemente senza motivo una ragazza per poi fuggire dalla città, fino alla sua (scontata) cattura, alla conseguente detenzione in carcere con relativo processo.

(continua su agiChina)


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Da Il mio ragazzo, di R. Raj Rao

Si alzarono per andarsene. Yudi gli chiese dove fosse diretto. Lower Parel. Avrebbero percorso la stessa strada, allora. S’incamminarono verso la stazione di Marine Lines. Il ragazzo non era pratico della zona e si lasciò guidare da Yudi. Notò che quello strano tipo di Pandava non gli teneva più la mano.
«Dove lavori?», chiese.
Yudi avrebbe voluto che stesse zitto. Stava diventando fastidiosamente loquace.
«Faccio il giornalista… il reporter… presente?»
«Reporter? Per che giornale lavori?»
«Nessuno in particolare. Sono quello che si definisce “freelance”. Scrivo per vari giornali e riviste».
Un dubbio attraversò la mente del ragazzo. Non è che Yudi avrebbe fatto il suo nome scrivendo del loro rapporto?
«Di cosa scrivi?», domandò qualche istante dopo.
«Di tutto un po’», fu la risposta annoiata.
Ma d’un tratto il ragazzo se ne venne fuori con un’uscita tale che Yudi drizzò le orecchie, come un cane.
«Io appartengo alla classe lavoratrice, tu a quella chiacchieratrice».

Da Il mio ragazzo, di R. Raj Rao

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Tew Bunnag sulla morte di Re Rama IX

In un più ampio articolo pubblicato da Pagina99 di Massimo Morello sulla morte di Re Rama IX, il sovrano tailandese recentemente scomparso, viene inserito un intervento di Tew Bunnag, autore con Metropoli d’Asia di Il viaggio del Naga e Cortina di pioggia. La sua opinione è che si entrerà in un’epoca di incertezza e fragilità, essendo venuta a mancare una figura paterna che infondeva sicurezza.


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Da Ho il diritto di distruggermi, di Kim Young-ha

K era tornato dopo cinque anni di assenza solo quando aveva saputo della scomparsa della madre. Dopo aver lasciato la scuola superiore era andato via di casa, e da allora era cambiato molto più di quanto ci si potesse aspettare. Il giorno del funerale, K aveva comunicato che preferiva non partecipare alla cerimonia: né il fratello né altri avevano cercato di fargli cambiare idea. E proprio nel momento in cui la terra ricopriva la bara della madre, lui se ne stava lì sul divano a spassarsela con Giuditta. C aveva messo a confronto la fatica che aveva fatto per organizzare il funerale della madre con il piacere carnale del fratello. Si era sentito stanco. Una volta entrato in camera da letto, si era addormentato con i vestiti ancora addosso.

Da Ho il diritto di distruggermi, di Kim Young-ha

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Da Malesia Blues, di Brian Gomez

I clienti dell’Hideout se n’erano andati tutti per quella sera, e a Pak Jam andava bene così. Un po’ di musica e qualche chiacchiera. Accese una canna, fece un tiro e la passò a Terry.
«A che ora vengono i ragazzi?», chiese.
«Dovrebbero essere qui tra poco, lah. Si bevono un paio di birre qui, poi ce ne andiamo. In qualche albergo, probabilmente», rispose Terry.
«Insomma è la gran notte, eh? La festa di fine-libertà».
Terry si limitò a stringersi nelle spalle. Diede un tiro alla canna come se fosse il suo ultimo respiro.
Terry aveva un’aria troppo sfatta per i suoi ventotto anni, considerò Pak Jam. Non lo conosceva bene, ma gli piaceva stare in sua compagnia. Era un ragazzo sveglio. Sapeva reggere una conversazione. E santo Dio, se lo sapeva suonare, il blues!

Da Malesia Blues, di Brian Gomez

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Xiaolu Guo, la Svizzera e Heidi

In un numero di Internazionale di qualche tempo fa era comparso un articolo di Xiaolu Guo, autrice con Metropoli d’Asia di La Cina sono io e 20 frammenti di gioventù vorace, su una sua esperienza di vita con la sua famiglia in Svizzera, a Zurigo. Proprio poco prima di partire aveva comprato per la figlia un libro di Heidi, personaggio che la suggestiona e accompagna attraverso gli incantevoli paesaggi montanari.


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