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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post su autori

Da I miei luoghi, di Annie Zaidi

Rambabu era a capo della banda dei Gadariya insieme al fratello Dayaram. Il resto dell’organizzazione comprendeva cugini o «fratelli di casta», a parte un paio di componenti provenienti dalle tribù delle foreste dei dintorni. Una banda leggendaria, non solo per alcuni audaci sequestri messi a segno o per i modi sensazionali con cui aveva giustiziato i suoi nemici. Nei posti giusti quei banditi erano anche capaci di comportarsi da Robin Hood; e mai, durante le loro scorrerie, torcevano un capello alle donne. In effetti, è stata una delle prime cose che sono venuta a sapere a proposito della banda: le donne non le toccavano nemmeno. Se capitava loro di incontrarne una, la chiamavano «sorella» e le consegnavano un dono simbolico, una piccola somma di denaro.
Questo atteggiamento aveva fatto guadagnare alla banda uno stuolo di accesi sostenitori. Non c’è donna del Chambal che in cuor suo riesca a condannare Rambabu e Dayaram senza accompagnare la condanna a un moto di pietà, o forse a un’emozione che va al di là di questa (a esclusione, ovviamente, di quelle a cui è stato ucciso il marito o il fi glio). Una delle attiviste sociali della zona, che in seguito arrivai a conoscere abbastanza bene perché si fi dasse di me, diceva spesso con sguardo sognante di voler conoscere Rambabu, perché era convinta che non potesse essere poi così cattivo.

Da I miei luoghi. A spasso con i banditi e altre storie vere, di Annie Zaidi

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Da Il viaggio del Naga, di Tew Bunnag

Con Eduardo B. era diverso. Probabilmente, se si fossero incontrati quando lei era più giovane, Marisa non ne sarebbe stata per niente impressionata: era un tipo tranquillo, senza pretese, diverso dagli uomini che aveva conosciuto. Durante la loro prima conversazione non lo trovò attraente né interessante, solo un altro farang dall’aria persa e intimorita a Bangkok. Non aveva nulla da offrirle se non un aspetto passabile – capelli sale e pepe, baffi curati, abbronzatura mediterranea – e modi eleganti da gentiluomo europeo. Lei, invece, l’aveva ovviamente colpito e la sua insistente attenzione la lusingò in una fase della vita in cui non si sentiva sicura di sé. Pian piano permise a se stessa di farsi sedurre dal suo charme, finché un giorno si svegliò e scoprì che se ne era innamorata. Questo la spaventò e allo stesso tempo le fece piacere perché, a dispetto dei ruoli romantici che aveva interpretato al cinema e in televisione, non aveva mai pensato che avrebbe provato l’inebriante esperienza di innamorarsi per davvero.

Da Il viaggio del Naga, di Tew Bunnag

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Da Verso Nord. unonoveottootto, di Han Han

Alla fine l’atmosfera si stempera. Tra lo scompiglio di quelli che, a quanto pare, stanno raccogliendo delle prove, sento un urlo: è il cameraman. Guarda tutti con imbarazzo, poi si scusa: nelle riprese girate poco prima ha dimenticato di aprire l’obbiettivo della telecamera, quindi ha registrato solo il sonoro. «Secondo voi andrà bene lo stesso?»
Uno del gruppo gli si avvicina contrariato, scambia qualche parola con lui sottovoce e poi si rivolge a me, dicendomi che hanno avuto un contrattempo con la raccolta delle prove e quindi rientreranno da capo; io devo rimanere fermo nella posizione in cui mi trovo. «E quello che avevi in mano? La roba che avevi in mano poco fa? Ecco qui, tieni le mutande e resta immobile così».
«Con lei come fate, che è già ammanettata?», chiedo indicando Shanshan.
Lui rimugina, poi suggerisce: «Lasciamola così, non mi fido, non si sa mai che scappi e via dicendo, le donne non sono buone a niente. Rimane com’è, ammanettata alla lampada».
Io replico, esasperato: «Non vorrete farmi passare per sadomasochista, l’avete incatenata voi, non io!»
Lui mi da un calcio: «Parli troppo».
Finalmente sgomberano la stanza ma la serratura non tiene e la porta resta aperta, il cameraman tira fuori un fazzoletto e lo sistema nell’interstizio per bloccarla. Alla fine si chiude.

Da Verso Nord. unonoveottootto, di Han Han

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Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

Si era sempre salvato con un semplice espediente: il ricatto. Se fosse stato accusato, avrebbe potuto rivelare i nomi di personaggi molto in vista che si procuravano il fumo da lui. Ciò che Mari non riusciva davvero a concepire era come fosse possibile che quei divi, una volta rimessi in libertà, tornassero da lui come se niente fosse e senza provare neanche una punta di rancore nei suoi confronti: si era rassegnata a credere che fosse un altro effetto causato dalla dipendenza. Quell’uomo sembrava nascondere un talento che gli consentiva di ammaliare gli altri, eppure più lo guardava e più le sembrava un maestro di banalità, un qualunquissimo uomo di mezza età. Non superava il metro e settanta di altezza e anche il suo viso non era certo quello di un Adone. Lavoravano insieme già da cinque anni, ormai, e ciò nonostante non aveva mai trovato in lui nulla di attraente. Eppure si era già sposato per la seconda volta, tra l’altro con una ex modella, e anche dopo il matrimonio era sempre circondato da ragazze: a Mari non restava che pensare che avesse delle doti nascoste.

Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

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La presentazione di Nabarun, il documentario su Nabarun Bhattacharya

Alcune immagini dell’incontro con Andrea Berrini, Beppe Sebaste e Italo Spinelli in occasione della presentazione ad Asiatica Film Mediale di Nabarun, il documentario del regista Q su Nabarun Bhattacharya, autore di Gli ammutinati di Calcutta, da poco uscito per Metropoli d’Asia.

Da L’atelier, di Yeng Pway Ngon

Il maestro gli disse che quel giorno avevano in programma disegno di nudo dal vero, e che avrebbe dovuto spogliarsi. Il ragazzo notò che nell’atelier c’erano anche due donne sui vent’anni – una forse anche più giovane – che lo stavano guardando.
«A-Gui mi ha detto che dovevo togliermi solo i pantaloni», balbettò Jizong, ma si accorse che l’amico era già sparito. Si guardò intorno, confuso. Il maestro percorse con lo sguardo l’intero atelier, e sorridendo disse a Jizong: «Credo che A-Gui sia andato via. In fondo che problema c’è a togliersi i vestiti? Siamo adulti, non siamo forse fatti tutti allo stesso modo? Vedrai che ti abituerai subito, prova!». Jizong non rispose, non sapeva come fare a spogliarsi davanti a quella gente. Dove si era cacciato A-Gui? Se l’era svignata. Si sentiva solo e abbandonato e in cuor suo era infuriato con l’amico. Il maestro gli spiegò che quel giorno avrebbero dipinto per tre ore: ogni quarto d’ora avrebbero fatto una pausa di cinque minuti. Poi lo invitò ad andare dietro il paravento a spogliarsi.
Jizong si tolse la maglietta e uscì dal paravento a torso nudo.
«Ti puoi togliere i pantaloni?», gli chiese gentilmente il maestro; Jizong tornò dietro il paravento, se li sfilò e comparì in mutande. A disagio, teneva le braccia tese a coprire le parti basse e in attesa di istruzioni sbirciava timidamente il maestro; non osava guardare gli altri. Il maestro gli disse di mettersi di schiena, faccia al muro, di divaricare le gambe, alzare le braccia e appoggiarle alla parete: «Così, non muoverti!».
Dopo un po’ Jizong sentì il pittore che gli diceva: «Puoi toglierti anche le mutande?».

Da L’atelier, di Yeng Pway Ngon

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Nabarun Bhattacharya segnalato su Il Messaggero

Il libro Gli ammutinati di Calcutta, di Nabarun Bhattacharya, è stato segnalato su Il Messaggero in relazione alla presentazione del documentario dedicato all’autore nel corso di Asiatica Film Mediale.

Il libro s’intitola “Gli ammutinati di Calcutta” ed è l’ultimo romanzo di un grande scrittore indiano, Nabarun Bhattacharya, scomparso due anni fa. Metropoli d’Asia, la casa editrice che l’ha pubblicato in Italia, la descrive come una storia «di mendicanti, scheletri, fantasmi, dischi volanti e governanti corrotti in una fantasmagorica Calcutta».

(continua a leggere su Il Messaggero)


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Gli ammutinati di Calcutta, di Nabarun Bhattacharya

In libreria

Due gang rivali sul finire del XX secolo si scontrano e si incontrano in una fantasmagorica Calcutta. La prima gang è composta dagli iconici Fyataru, un gruppo di angeli punk dal retrogusto anarchico che vivono ai margini della società e combattono le disgustose ipocrisie di un sistema politico e burocratico stantio, malvagio e corrotto. Con i loro poteri sovrannaturali, fra cui spiccare il volo al solo pronunciare un cacofonico mantra e lanciare bombe di escrementi umani in testa ai ministri corrotti, i Fyataru mirano ad eliminare tutti gli “ismi” e tutti gli “scismi” che tormentano l’umanità urbana. La seconda gang è formata dai Choktor, una setta magica di stregoni tantrici. Seguendo i saggi consigli di un progenitore-sciamano nelle vesti di un uomo-corvo, le due gang si uniscono e danno vita ad un’insurrezione scoordinata e rivoluzionaria.

Calcutta diventa l’improbabile campo di battaglia di una guerriglia diretta contro le forze del Governo a cui partecipano i poveri, gli scontenti, ma anche gli scheletri, i fantasmi e dischi volanti. La polizia è allo sbaraglio, e il Governo è costretto a proporre un trattato di pace con esiti misteriosi.

Cura e traduzione dal bengali di Carola Erika Lorea


Gli ammutinati di Calcutta, di Nabarun Bhattacharya

Pagine 288
Euro 15
ISBN 9788896317648 

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Da Oggetti smarriti, di Liu Zhenyun

Quando Liu Yuejin andava con la madre a trovare la nonna materna, lo zio, che ci vedeva ancora, lo ignorava e gli metteva anche un po’ paura. Era un semplice cuoco di prigione, ma si dava un sacco di arie. Non per il mestiere in sé, ma per il luogo in cui lo esercitava. Nelle trattorie intorno al mercato i cuochi dovevano sempre preoccuparsi di cucinare bene, in prigione invece lui cucinava e basta. Anche volendo non c’era modo di fare meglio: sempre verdure in salamoia, pappa di riso e panini di farina di granturco cotti al vapore, tre volte al giorno per trecentosessantacinque giorni l’anno. Al ristorante, se il cibo è scadente, te la prendi con il cuoco; in galera i carcerati non fiatavano, anzi, quando lo incontravano abbassavano la voce in segno di rispetto. Gli altri cuochi disprezzavano Niu Decao, e lui li ricambiava con la stessa moneta: «E che cazzo, dappertutto chi cucina è al servizio di chi mangia, avete mai visto il contrario?».

Da Oggetti smarriti, di Liu Zhenyun

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Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Nel gruppo dei cacciatori che il Maggiore Sadrah guidava da anni, Margio poteva essere definito il più bravo. Sulla schiena aveva ancora la cicatrice di una ferita dovuta alle zanne di un cinghiale, ma non era niente in confronto alla quantità di animali che si erano arresi di fronte alla sua lancia, prima di essere sospinti verso la trappola e catturati vivi. Un cinghiale morto non era di nessun interesse per loro, perciò, anche quando si trovavano ad affrontare fisicamente un esemplare inferocito, non tentavano di ucciderlo. Lo ferivano in modo lieve, prima di costringerlo a entrare nella trappola. Non volevano che i cinghiali morissero perché organizzavano combattimenti con i cani selvatici, ai quali si poteva assistere pubblicamente alla fine della stagione venatoria. Nella caccia piena di espedienti e di tranelli a quegli animali senza cervello, Margio era considerato un leader, per la sua corsa veloce e la sua lancia implacabile. Non tutti avevano il coraggio di assumersi quel ruolo, e per questo il ragazzo era particolarmente ammirato dai suoi compagni.

Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

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eskafedelmira upmeyer@mailxu.com wenmanqiana@mailxu.com