Un Booker eurocentrato

Che dire? Niente Africa, niente Asia, nulla dai Caraibi. I tredici nomi della longlist del Man Booker Prize 2011 sono invariabilmente… bianchi. L’imbarazzo del Presidente di Giuria Stella Rimington è evidente proprio nel tentativo di affermare una pluralità che non esiste (“dall’ Occidente Selvaggio alla Londra multietnica passando per la Mosca del dopo guerra fredda a Bucarest”. Non certo per via delle personalità degli autori!).

Va bene, non è stato l’anno dell’India quello appena trascorso, che sembra aver smarrito non tanto una vena quanto una prolificità esasperata e alla fine premiante. Ma siamo sicuri di essere in pieno 2011? L’anno dell’Asia rampante, del SudAfrica sugli scudi, della nuova narrativa pakistana celebrata da Granta, dell’Occidente che boccheggia nel suo debito e nella sua crisi…

È chiaro l’avvitamento su sè stessi dell’industria editoriale euro-americana: quando guarda ai paesi emergenti cerca ancora sè stessa, storie “adatte” al lettore europeo, che “possono andare” nei nostri mercati. E allora non lamentiamoci se troviamo mediocrità. Ci vuole una marcia in più, ci vuole uno sforzo verso uno scouting senza pregiudizi, il tentativo di trovare voci nuove e promuoverle, offrire loro un pubblico. E sopratutto di portare a noi, lettori, una ventata fresca di novità.

I Paesi del Commonwealth, ambito di riferimento del Man Booker Prize

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