Bombay, un luogo letterario

Bombay, un importante luogo letterario

Il nostro per ora smilzo catalogo ha una particolarità: delle prime sei uscite, tre sono romanzi ambientati nella stessa città, Bombay. Qui, tanto per cominciare, devo spiegare perchè non la chiamo Mumbai. E la risposta è semplice: i nostri autori scrivono Bombay. Quando circa un decennio fa in India comicniarono a imporsi le traduzioni dei nomi delle città da quelli imposti in tre secoli di Raj Britannico a quelli originari, in lingua locale (e allora non Madras ma Chennai, non Calcutta ma Kolkata e tanti altri, con buone ragioni linguistiche e storico-politiche per farlo, ma con lo zampino del crescente fondamentalismo indù) anche a Bombay qualcuno alzò la testa: lo Shiv Sena, una specie di Lega dello stato del Maharashtra, contraria agli immigrati da altri stati indiani verso Bombay si inventò Mumbai, sostenendo che, vicino a dove ora sorge la città, ci fosse un antico insediamento con quel nome. E che Bombay fosse la storpiatura coloniale dell’originale. In realtà Bombay deriva dal portoghese Bom Bahia, buona baia, e lo Shiv Sena meno parla e fa meglio è: quando il localismo gretto si mescola con il fondamentalismo religioso, in Italia come in India le cose vanno male. Ed eccoci in medias res: gli scrittori usano il termine Bombay, e nelle storie spesso citano o usano come sfondo la storia recente della città che il fondamentalismo indù catapultò nell’inferno dei pogrom

antimusulmani, e il fondamentaliamo islamico unito alle vecchie scorie della conflittualità con il Pakistan trascinarono negli attacchi del novembre 2008, lasciando nell’ombra e senza nome gli autori delle stragi (treni, stazioni e altro) che insanguinano la metropoli con terribile regolarità.
Ma non è solo per il suo scenario storico politico che gli scrittori eleggono Bombay a topos letterario. La città sembra fatta apposta per questo: una penisola lunga e stretta, bellissima a dispetto del grigio costante del suo mare, dove ambienti diversi, classi sociali (per non dir delle caste) lingue e nazionalità sono quasi costretti a convivere a stretto contatto. Grandi e austeri edifici Elisabettiani, quartieri popolari effimeri e dalla mappa irregolare, palazzoni fatiscenti che sembrano usciti da un fumetto di Bilal (un giorno mi sono infilato dentro a una porticina salendo una scala stretta le cui mura erano letteralmente ricoperte da fasci di cavi elettrici e tubature penzolanti, inciampando su gradini cigolanti per ritrovarmi, al quarto piano, dentro a una linda, bianca e immacolata galleria d’arte moderna), alberghi famosi e agglomerati di pescatori. E a dispetto della difficoltà di vivere in una città del genere, congestionata di traffico immobile nelle ore di punta dove gli spostamenti richiedono accurate programmazioni, gli scrittori amano venire a Bombay a vivere, e sempre più ambientano qui le loro storie.
In Italia abbiamo consociuto Bombay qualche anno fa con Maximum City, di Sukhetu Metha (per la verità poco apprezzato dagli abitanti della città che ne dicono: gangster, puttane e Bollywood, troppo facile fare un libro così) e per due romanzi noir, o d’avventura come Giochi Sacri di Vikram Chandra e Shantaram di Gregory Roberts: tutti e tre, questi autori, non indiani o indiani emigrati da tempo in occidente. Quel che si presenta ora, a parte i titoli di MdA (Ravan&Eddie, Le Ceneri di Bombay e Il Mio Ragazzo) è una scena sovraffollata, come se gli scrittori in primis avessero colto la forza evocativa della metropoli. Al punto che ho dovuto spiegare più volte la mia reticenza a tradurre altri romanzi su Bombay. Quel che è certo è che la metropoli indiana farà molto parlare di sè.

  • http://tabaccherieorientali.blogspot.com/ Klara

    Anche per me resta, e sempre sarà, Bombay.
    Bombay, meri jaan. Penso che non esista al mondo posto più frizzante, corrosivo e indelebile. Bombay, la città dei tramonti impossibili. Città brulicante di corpi e ferite. Una città che ti contagia, sempre. Le sue onde lambiscono i corpi sospesi all’orizzonte. Bombay, città di poeti d’acqua e di corvi, di cieli di cardamomo. Forse sono troppo “di parte” per parlare con obiettività di questa metropoli cannibale, infernale ma “di sangue vivo”, di parole e di memorie. Bravi, voi di Metropoli d’Asia, continuate così!

  • http://indian-words.blogspot.com Silvia

    Anche per me Bombay è un po’ il primo luogo letterario (ma anche umano) della “mia” India…

    Quanto al nome, alla fine li uso (mentalmente) entrambi: li ho sentiti usare diversamente, anche dalle stessa persona, a seconda della lingua usata, inglese o marathi (Mumbai d’altra parte è il nome marathi), e soprattutto a seconda della classe sociale.
    Le bambine musulmane dello slum, per esempio, dicevano sempre Mumbai, in qualunque lingua parlassero, ignare delle implicazioni politiche di un nome.
    Un altro libro di quelli super-mega-famosi ambientati a Bombay (Nessun dio in vista) distingue proprio fra due città diverse, non due nomi diversi per la stessa città. Due città che convinono una di fianco all’altra: la Bombay dove si parla inglese, si vive con l’aria condizionata e macchine con autista e la Mumbai fatta di mendicanti, caldo infernale e odore di fogna.
    “Bombay, dove tutto è in orario. Mumbai, che si nutre degli avanzi di Bombay.”
    Un po’ come i piani diversi dell’edificio della galleria d’arte.

    Io amo Bombay e leggerne ogni volta mi affascina perché mi riporta nella memoria, ma ho anche molta voglia di scoprire altri posti (oltre a Delhi, numero due nella lista delle città letterarie contemporanee) che immagino essere altrettanto brulicanti e pieni di storie.

  • http://www.bassifondi.com Max

    Difficile per uno come me, expat a Bangkok e mai passato per Bombay, parlare di questa città. Ma è un buon pretesto per una riflessione sulle metropoli asiatiche. Sembrano sempre più luoghi letterari, troppo spesso interpretati secondo quella che definisco la Blade Runner Syndrome, che induce a sottolinearne soprattutto il lato oscuro.
    All’estremo opposto le descrizioni degli analisti finanziari, dei politici, degli hi-people che le osservano solo negli aspetti della crescita economica, del nuovo ordine mondiale o delle tendenze culturali. Questa è la Wall Street Syndrome (o Wall Paper, secondo i casi).
    E’ il bello delle Metropoli d’Asia.

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