In quella mattinata in cui tutto ronzava, la gente e il neon, pensai di aver già visto una di quelle persone. L’unico problema era che aveva un trucco pesante e la parrucca, e indossava un sari. Nell’equivoca scenografia della luce tremolante e della sinfonia di corvi, avevo finito per decidere che era un uomo. A un certo punto notai che le quattro figure indossavano tutte dei sari – quelli sintetici, da due soldi, che le puttane mettono quando non devono far colpo. Erano ancora lì all’entrata a lanciare i loro sguardi un-due-tre quando pensai di mostrarmi interessato e chiedere se volevano fare una telefonata. Ma prima che potessi calarmi nella parte del commerciante cortese, due di quelle «signore» avanzarono verso di me. Lanciandomi un’occhiata, una di loro mi disse: «Faccio un’urbana». «Prego», risposi io con gentilezza, fingendo di non essere per niente incuriosito dal loro aspetto. Avevano la barba di qualche giorno, ma i peli sulle mani erano accuratamente pettinati. Eunuchi, ecco cos’erano. Ma prima di tutto erano clienti e se non si mettevano a battere le mani, sculettare, alzare la sottana e chiedere soldi, non mi davano alcun fastidio.
Da Il giardino delle delizie terrene, di Indrajit Hazra
Posted by Metropoli d'Asia on marzo 14, 2016
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Da Il mo ragazzo, di R. Raj Rao
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