Da I miei luoghi, di Annie Zaidi

Per Irshad Khan, il cerchio della vita si era chiuso il giorno in cui aveva ricevuto un messaggio dai Gadariya: avrebbero gradito incontrarlo. Il perché Khan non era disposto a precisarlo. Mi lasciò intendere però che c’entrasse il fatto che i fratelli un tempo avevano lavorato per lui, caricando pietre pesantissime sui camion per uno stipendio da fame; pur non sapendo bene che cosa volessero in quel frangente, da buon ex datore di lavoro aveva accettato di incontrarli. Ma quasi tutti a Shivpuri, e fi n giù a Bhopal, sono convinti che i proprietari delle cave di questa zona dello Stato fossero soliti pagare alle bande di dacoits una sorta di «pizzo» per la protezione. Fino a pochi anni fa in questa fascia l’estrazione di pietre era proibita (per salvaguardare le foreste), e perché le cave illegali continuassero a lavorare in pace era importante tenere il più lontano possibile dai boschi eventuali intrusi. In quest’ottica, avere a libro paga bande di dacoits poteva rivelarsi utile.
Mentre Khan raccontava la storia del loro incontro nella foresta, proprio accanto alla sua cava, era impossibile non notare l’ammirazione che trapelava dalla sua voce. Una parte era armata, e lo era anche l’altra. Le due parti si incontrarono, e prima ancora che si potesse rendersene conto, i banditi erano saltati addosso allo zio di Khan e a un cugino più giovane, trascinandoli via. Dalla loro parte. Questa parte aveva le armi, ma non osava sparare per timore di colpire e uccidere i propri familiari dall’altra parte. Perciò questa parte era rimasta lì, inebetita, rimpiangendo la propria dabbenaggine. E l’altra parte tutta sorrisi probabilmente teneva la sua posizione prima di stabilire il prezzo del riscatto e allontanarsi senza fretta.

Da I miei luoghi. A spasso con i banditi e altre storie vere, di Annie Zaidi

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