Da Gli ammutinati di Calcutta, di Nabarun Bhattacharya

Teste mozzate rotolavano in fila sulla sponda del Gange. Doveva essere successo qualcosa di spaventoso, quella notte. Forse un mucchio di teschi ammassati come sacchi di patate aveva deciso di darsela a gambe? E in tal caso, che avevano fatto con il resto del corpo? I crani li avevano recisi con un colpo di sciabola, oppure tagliati con una sega? I teschi appartenevano a uomini o a donne? Sulla faccenda era in corso un dibattito.
Dall’altra parte del fiume, ai piedi del cielo torbido scaturito dal ciclone, ballavano crani di teste dotate del malizioso dono della parola. Prima erano in tante a ballare, ma poi è arrivata la polizia; molte sono svanite nel nulla, e ne sono rimaste solamente tre. E mentre la polizia considerava se procedere, se invischiarsi in un altro scandalo, se pensare a questo o a quell’altro, anche gli ultimi tre teschi sono spariti con un sorrisetto nel gonfiore dell’alta marea, senza lasciare traccia.

Gli ammutinati di Calcutta, Nabarun Bhattacharya

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