«Andate a cercare un medico, fatelo visitare», implorava. Ma loro si mostrarono seccati (per giunta stava parlando in falsetto) e quasi la spinsero fuori, quasi la cacciarono fuori dalla stanza, mentre lei, accovacciata sulla soglia, ripeteva che era ubriaco fradicio, finché Hongbin non le ruggì di levarsi di torno. Lei, obbediente, uscì, e in quel momento si sentì di colpo sollevata, tra le lacrime si lasciò sfuggire persino un sorriso, ma subito dopo il terrore tornò a impadronirsi di lei. Il fatto che l’avessero cacciata (privandola così dello status di parente del defunto), sospettava, presagiva alla sua identificazione come colpevole. Continuava a rivolgere lo sguardo in alto verso il cielo indaco, un cielo che sembrava sul punto di disintegrarsi, di collassare, così raggiante che era impossibile trattenere le lacrime.
Da Svegliami alle nove domattina, di A Yi
Posted by Metropoli d'Asia on giugno 27, 2019
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Annie Zaidi e la guerra
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