Han Han in Occidente

Le Tre Porte, poco dopo la sua uscita, fu tradotto in francese e pubblicato, ma gli editori di altri paesi europei o nordamericani si dichiararono non interessati, nonostante i due milioni di copie cartacee vendute in Cina, a cui vanno aggiunti i download, legali e non, da Internet, dove il romanzo era circolato per diversi mesi acquisendo notorietà e divenendo il primo fenomeno di culto per i giovani cinesi.

A dieci anni di distanza Han Han viene acquistato da Simon & Shuster, inizia la sua collaborazione con il New York Times, e gli editori europei cominciano a leggersi i suoi lavori più recenti. Dopo Le Tre Porte infatti sono venuti altri sei romanzi.

A Pechino una giovane editor mi ha detto: “Io sono cresciuta con Han Han. Mi sono divorata Le Tre Porte a ventanni, e ne ho parlato con I miei coetanei, come facevamo tutti allora: era il nostro idolo”. Il romanzo di formazione del giovane Yuxiang, alle prese con il sistema scolastico cinese tanto burocratico e arretrato, quanto paradossalmente votato all’insegnamento della competizione e del carrierismo richiesti oggi a un giovane cinese, è il manifesto di una generazione che non ha vissuto né il maoismo né la primavera di Piazza Tienanmen, ma si trova di fronte semplicemente un paese che non capisce, o che non si fa capire.

È un paese che Han Han sferza dal suo blog: corruzione, inefficienze, indifferenza generalizzata. Verrebbe da utilizzare il termine: cattiveria. È la stessa cattiveria dei compagni di scuola di Han Han, che lo accompagnano nel suo percorso con le loro piccinerie e stravaganze, pronti a prostrarsi di fronte al potere e alle convenzioni.

Ma Han Han non salva neppure il suo Yuxiang: partecipe delle sue disavventure, simpatetico quanto può esserlo un autore con un personaggio nato dalla propria autobiografia, ce ne mostra l’ingenuità sorretta da una vitalità quasi disperata. Quel ragazzo è fuori come un balconcino, direbbe Han Han se fosse italiano. Eppure ha forza, determinazione, tenacia. E potrebbe sfangarla, dunque: come Han Han. E verrebbe da dire: quante similitudini con l’Italia, dunque!

Visitando Shanghai per la prima volta, chiesi se esisteva una giovane voce capace di raccontare l’ultima generazione, cresciuta nella Cina dello sviluppo e del mercato, un autore capace di confrontarsi con questi feticci. Sorprendentemente il nome di Han Han veniva fatto dagli scrittori più vicini all’establishment, come dalle voci dissonanti.

Han Han, fustigato al momento dell’uscita di Le Tre Porte dal mondo accademico, è oggi portato in palma di mano dall’Associazione degli Scrittori di Shanghai. D’altro canto, di lui parla con ammirazione un dissidente puro come Ai Weiwei, che era uno dei principali collaboratori della rivista letteraria che Han Han cercò di lanciare un anno fa, subito chiusa dalla censura.

Non si può rinchiuderlo in uno schema, Han Han. Rifugge dagli stereotipi, che sono, appunto, l’oggetto del suo scherno in Le Tre Porte. Tanto artefatti sono i gerghi degli strampalati, ma reali, personaggi che lo popolano, quanto corrosiva la loro storia e la traiettoria di Yuxiang. Un giovane studente cinese, ma anche un giovane studente in generale.

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