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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post su libri

Da Oggetti smarriti, di Liu Zhenyun

Ora era tornato sull’argomento. Yang Zhi sputò a terra e gli rispose: «Prima mi fai cercare la gente e poi mi fai pagare il conto? Lo sai che basta un pranzo per capire la natura di un uomo?».
Lao Gan, con i soldi ancora in mano, ansimò: «Che discorsi! Dai, riprenditeli!».
Yang Zhi non gli badò e, con il marsupio in mano, stava per andarsene. Sul punto di uscire, prese da un tavolo un tovagliolo di carta per pulirsi la bocca e notò, vicino all’ingresso, la presenza di una donna magrolina seduta davanti a una ciotola di spaghetti in brodo di frattaglie. Non mangiava, era assorta a guardare i passanti fuori dalla finestra. Per strada avevano appena acceso i lampioni e la gente aveva affrettato il passo. Dopo aver camminato un po’, Yang Zhi cercò in tasca le sigarette e si accorse di averle lasciate alla trattoria. Pensò che non valeva la pena tornare indietro e comprò un altro pacchetto a una bancarella, lo aprì, tirò fuori una sigaretta e se l’accese, continuando a camminare. La donna della trattoria lo aveva seguito e gli si accostò.

Da Oggetti smarriti, di Liu Zhenyun

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Da I miei luoghi, di Annie Zaidi

Ma un conto era immaginare di incontrare degli assassini; farlo davvero era un altro paio di maniche. Durante la riunione di redazione, quando la mia proposta venne approvata e mi trovai di fronte alla possibilità concreta di partire per scrivere un reportage sui famigerati dacoits del Chambal, mi sentii mancare. Ormai, però, non c’era modo di tirarsi indietro.
Perciò presi il treno per Gwalior; si scoprì che era uno Shatabdi (da Delhi a Bhopal), un treno ad alta velocità. Cominciai a chiedermi se non fosse buon segno. In fondo, avevo visto la mia prima dacoit – Phoolan Devi in persona – proprio a bordo di uno Shatabdi. Che ne avessi preso un altro sembrava una bizzarra coincidenza: lasciava forse intendere in qualche modo che avrei incontrato la sfuggente e sanguinaria banda dei Gadariya già alla prima spedizione nella terra dei banditi?

Da I miei luoghi. A spasso con i banditi e altre storie vere, di Annie Zaidi

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Da Il viaggio del Naga, di Tew Bunnag

L’altra ragione del pessimo umore di Marisa aveva l’aspetto della scarmigliata figura maschile distesa sul letto dall’altra parte del vetro, a meno di un metro da lei: il suo amante da favola con il quale non voleva più stare. Erano passati sei mesi da quando aveva deciso di lasciarlo e ancora non aveva fatto un passo avanti. Aveva acceso incensi e candele in tanti templi diversi, chiedendo il coraggio di affrontarlo ma, ogni volta che se ne era presentata l’occasione, si era tirata indietro. Quella notte pareva fosse la conclusione perfetta, il momento della verità dopo che il film era terminato e il loro progetto comune giunto a compimento. La tempistica aveva un senso.

Da Il viaggio del Naga, di Tew Bunnag

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Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

Ogni tanto la sua memoria faceva cilecca, eppure – stranamente – ricordava quella scena nei minimi dettagli. Ricordava quel ragazzino dall’aria adulta che si congratulava con lei con aria compiaciuta e che, nel frattempo, le porgeva la fatidica prima sigaretta. Al primo tiro aveva cominciato a tossire, non perché il fumo le fosse andato di traverso, ma semplicemente perché, essendo per lei la prima volta, le sembrava la reazione più adatta alla circostanza. I compagni avevano riso della sua goffaggine e, finite le loro “bionde”, avevano gettato i mozziconi nel punto in cui scorreva l’acqua di scarico. Dopo di che erano rimontati tutti sulle bici ed erano tornati a casa.

Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

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Da Verso Nord. unonoveottootto, di Han Han

Dopo il servizio completo si infila svelta i vestiti. Le domando come abbia fatto a sapere del mio arrivo così tempestivamente.
Mi spiega: «Non sono proprio andata a dormire, devi sapere che qui grosso modo saremo oltre trenta professioniste e si fermano solo camionisti, gente di passaggio, quindi nessuna ha clienti fissi. Se aspetto che la titolare suoni il campanello sto fresca, perciò mi do da fare e sto all’erta mentre le altre ronfano. Appena sento un cliente che entra in camera vado a bussargli. In genere, nel cuore della notte nessuno pretende di cambiare ragazza. Io sono poco richiesta perché certi, soprattutto quelli del Guangdong, sono fissati con i numeri fortunati, le più gettonate sono la otto e la diciotto. Io ho un numero insignificante e mi tocca arrangiarmi. Se tornerai, chiedi direttamente di me».
Commento: «Se fossero tutti efficienti come te, sarebbe una meraviglia. Che numero hai?»
«Sono la trentotto».
«Beh», faccio io, «continuerò a chiamarti Shanshan. Perché non cambi numero, Shanshan?»

Da Verso Nord. unonoveottootto, di Han Han

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Da L’atelier, di Yeng Pway Ngon

Quel giorno Jianxiong era arrivato presto, nell’atelier non c’era ancora nessuno. Posò il suo materiale e rimase in piedi fuori, accanto alla ringhiera, a fumare con gli occhi fissi sul furgoncino parcheggiato di fronte. Stava ancora rimuginando sulla discussione che aveva avuto la sera prima con Weihua. Quella settimana lo aveva incontrato due volte e si era un po’ pentito di avergli comunicato la sua decisione; era stato troppo precipitoso. Weihua gli aveva detto che sarebbe tornato per parlargli dopo un paio di giorni, ma lui era agitato e confuso, sentiva di non essere ancora pronto psicologicamente. E quando mai lo sarebbe stato?

Da L’atelier, di Yeng Pway Ngon

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Da Memorie di un assassino, di Kim Young-ha

 

Quando ho ucciso l’ultima volta? Sarà stato venticinque anni fa… o forse no. Ventisei. Non ero spinto a farlo da un banale impulso omicida, né tantomeno da una perversione di natura sessuale. No. Mi spingeva l’amara consapevolezza di non essere mai stato in grado di assaporare un piacere perfetto. Meglio: mi spingeva il desiderio di poterlo finalmente gustare una volta per tutte. «So che puoi fare di meglio», mi ripetevo ogni volta che seppellivo una nuova vittima. E me lo sono ripetuto finché, a un certo punto, quella speranza ha smesso di pulsarmi dentro.

Da Memorie di un assassino, di Kim Young-ha

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Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Nessuno aveva mai sentito parlare di un metodo così primitivo per uccidere. Negli ultimi dieci anni in città si erano registrati dodici omicidi, commessi con un machete o una spada. Mai una pistola, mai un kris e soprattutto mai i morsi. O meglio, c’erano stati centinaia di casi che avevano implicato morsi, particolarmente in liti tra donne, ma nessuno si era concluso con la morte. Le identità dell’assassino e della vittima rendevano la notizia ancora più sconvolgente. Conoscevano molto bene sia il giovane Margio sia l’anziano Anwar Sadat, e non avrebbero mai creduto che potessero diventare protagonisti di una tragedia del genere, a prescindere da quanto Margio desiderasse uccidere qualcuno e da quanto fosse odioso l’uomo di nome Anwar Sadat.

Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

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L’uomo tigre su Il Fatto Quotidiano

Sul suo blog ospitato nel sito de Il Fatto Quotidiano, Lorenzo Mazzoni parla di L’uomo tigre, di Eka Kurniawan, inquadrandolo nel contesto letterario indonesiano e definendolo «un libro graffiante e dalla forte carica immaginifica», e sottolineando anche come sia un giallo atipico, dato che il colpevole si scopre già dalle prime pagine.

Utilizzando uno stile dai tratti esotici che ricorda García Márquez e V.S. Naipaul, e che deve molto alla tradizione della narrazione orale, Eka Kurniawan tratteggia una storia dai risvolti soprannaturali: l’omicidio di un incallito donnaiolo, Anwar Sadat, perpetrato da Margio, un ventenne in preda a traumi esistenziali dovuti alla violenta e non rieducabile condotta del padre.

(continua a leggere sul blog di Lorenzo Mazzoni)

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Da La Cina sono io, di Xiaolu Guo

All’improvviso un suono dirompente trafigge l’aria, come il grido convulso di un uccello intrappolato in una stanza. Jian si riscuote dal torpore. Si trova nella biblioteca dei pazienti. I suoi compagni di ospedale sono concentrati nel sudoku o nelle parole crociate. Lui è sveglio, ma la stanchezza gli si avvinghia agli arti. La sua mente è posseduta da allucinazioni olfattive della sua zuppa preferita, quella di manzo e maiale con tanto pepe di Sichuan. La zuppa sta fumando proprio davanti ai suoi occhi. Per lui la Cina è ancora viva, riesce ancora ad assaporarla. Fiuta l’odore acre e malsano dei vicoli di Pechino e sente il pizzicore del peperoncino nell’aria tra i banchi del mercato. Aspetta. Con il corpo stanco e pesante.

Da La Cina sono io, di Xiaolu Guo

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