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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post su libri

Han Han su GQ

Un lungo approfondimento del mensile GQ su Han Han, nel quale si parla della sua vita e dei suoi rapporti con il potere, e si cita ovviamente anche Le tre porte, uscito con Metropoli d’Asia pochi mesi fa.

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L’8 marzo di Annie Zaidi, su China Files

Ieri China Files ha realizzato uno specialone per la Giornata internazionale della donna (aka Festa della donna). Si intitola Altre donne e raccoglia una serie di storie legate a diversi paesi dell’Asia.

Per quanto riguarda l’India, è stata proposta una lunga intervista ad Annie Zaidi nella quale sono stati toccati diversi temi legati alla situazione delle donne nel paese. Inoltre, è stato pubblicato un estratto da I miei luoghi, il reportage di Annie Zaidi appena pubblicato da Metropoli d’Asia.

D: Le donne in India subiscono quotidianamente discriminazioni e molestie, anche nella vita di tutti i giorni. Pensi che, nonostante tutte le differenze di casta, religione, ricchezza e status sociale, esista un tratto comune in grado di unire tutte le donne in India nella loro condizione? Pensi che ci sia un terreno comune dove tutte le donne indiane sentono di far parte di un gruppo specifico?

R: Questa è una domanda difficile. Credo che l’identità nazionale (così per come ladefiniamo) sia un concetto poco compreso, specialmente quando le persone sono divise e si dividono ancora in base a caste, religioni, classi sociali e così via. Se chiedi a una donna tribale illettarata che vive in un’area remota cosa significa essere una donna indiana, cosa risponderà? Lei a malapena sente la presenza dello stato indiano, a meno che non abbia beneficiato di particolari programmi statali, o altro, oppure può esser stata traumatizzata da altre forze che possono essere statali o meno, ma che lei comunque qualifica come “indiani”.

Oltretutto, moralità, norme sessuali, matrimonio e aspettative lavorative differiscono da una comunità all’altra.
Ci sono molte somiglianze, naturalmente. Una larga gamma di classi e caste sono aggrovigliate in quello che possiamo chiamare ‘mainstream’, la corrente tradizionale. Condividono i valori e i problemi che chiamiamo “indiani”. Ma fino a poco tempo fa c’era una grande diversità e, anche ora, le cose sono in continuo mutamento.

(Continua a leggere su China Files)

I miei luoghi di Annie Zaidi sul Corriere della Sera

Han Han su La Freccia

“Alla Cina manca un rimedio”, un caso di censura

Caratteri Cinesi ha tradotto il discorso di ringraziamento di Murong Xuecun in occasione del Premio speciale di Letteratura del popolo. Il suo libro Alla Cina manca un rimedio racconta la sua esperienza di infiltrato in un’organizzazione di marketing piramidale.

Solo che il discorso non è stato mai pronunciato, dato che per i suoi toni duri gl è stato impedito di leggerlo in pubblico. Murong Xuecun è salito sul palco e ha fatto solo il segno di tapparsi la bocca, poi ha pubblicato il discorso sul suo blog, dove ha raccontato una storia di compromessi, censure, litigi che hanno accompagnato le fasi di revisione dell’opera.

Ho fatto solo quello che un comune cittadino dovrebbe fare: riportare un crimine. Ben lontano dal vero coraggio. Questo po’ di coraggio non merita encomi, sono un codardo. Le parole che esprimo sono prudenti; critico ciò che è permesso criticare.

Il manoscritto era già pronto, ma la pubblicazione continuava ad essere posticipata. Il motivo principale è che mi sono imbattuto in un editore particolare. In quasi due mesi, tra di noi sono successe singolari battaglie, lanci di bicchieri e imprecazioni. Una volta sono arrivato a colpire con violenza il muro di casa. Alla fine mi sono arreso.

Continua a leggere su Caratteri Cinesi

“Nel cuore di Smog City” su Leggere Donna

La rivista Leggere Donna ha dedicato una recensione a Nel cuore di Smog City, di Amruta Patil. Clicca sull’immagine per ingrandire l’articolo.

Rassegna stampa su I miei luoghi

Vi proponiamo una serie di articoli su I miei luoghi, di Annie Zaidi, pubblicati all’epoca dell’uscita del libro in India (titolo originale Known Turf).

DNA India

Mumbai Mirror

Pioneer

Times of India

Outlook India (tradotto da Internazionale)

e in più la segnalazione (della versione italiana) su Left

Premiazione a Taiwan

Metropoli d’Asia e’ entrata a far parte di un pool di editori asiatici che ha recentemente assegnato un premio a quello che viene considerato il miglior giallo dell’Asia orientale.

Lo abbiamo gia menzionato: si chiama Soji Shimada Mystery Award. Prende il nome da un autore giapponese di culto, una icona del pubblico giovanile, cultore di quelli che qui vengono definiti “gialli a chiave”: quelli in cui c’e’ un mistero, un enigma da risolvere.

Il pool si e costituito attorno a un editore taiwanese, Crown, e vede la partecipazione di editori dalla Cina, Giappone, Corea, Tailandia, Malesia e, appunto, Italia: Metropoli d’Asia pubblichera il romanzo vincitore e ha incarico di rivenderne i diritti in Europa e in alcuni paesi asiatici.

Il vincitore e’ di Hong Kong, si chiama, a seconda dei casi, Chen Haoji, oppure Chan Ho Kei, a seconda che lo si pronunci in mandarino o in cantonese.

Lo incontrerò a Hong Kong nei prossimi giorni, ne parleremo. Intanto possiamo dire che il titolo provvisorio del giallo e’ “Dimenticare. Polizia criminale”. Nella foto ecco Soji Shimada con il nostro Ho Kei, a destra.

Lui è di Hong Kong, dove si parla cinese cantonese, e non mandarino (ma scritto nella versione tradizionale, non in quella semplificata). La questione è… complessa. Sostanzialmente succede questo: il cinese è una lingua unica, ma nel sud della Cina si pronuncia in modo differente che nel resto del paese. I due nomi che ho citato rappresentano appunto, le due pronunce di un nome scritto allo stesso modo.

Naturalmente quando si traslittera nel nostro alfabeto, ecco che spuntano due nomi diversi. Noi scegliamo il secondo. Ce lo ha chiesto Chan Ho Kei, scrivendomi: se preferisci, chiamami Simon.

Ritorno in India

Quando pubblicammo Il mio ragazzo di Raj Rao quasi due anni fa, Mario Fortunato ne scrisse sull’Espresso: «E’ un romanzo che farei leggere nelle scuole». Era la storia di un amore omosessuale a Bombay, scritta da un attivista per i diritti dei gay in India.

Questi sono invece i racconti di uno scrittore colto, raffinato, ironico, capace di scandagliare luoghi e persone della sua città come pochi altri. R Raj Rao è dotato di una versatilità non comune che gli consente di presentarci una finta intervista al famoso scrittore, o lo schema di un trattamento per la televisione, oppure la storia di una relazione omosessuale attraverso le lettere che i due protagonisti si scambiano.

Sa anche essere esilarante, come ne L’assassinio di Salman Rushdie il cui protagonista non è che il proprietario di un’officina meccanica, ma è quasi il sosia del famoso scrittore, e si trova a firmare autografi, e poi a cercare di sottrarsi al linciaggio da parte di un gruppo di fondamentalisti islamici, apparendoci sempre come più simpatico, più umano e meno carogna del suo celebre alter ego.

C’è una critica alla società letteraria, nei racconti di Rao, e il personaggio che visita la Trinidad, patria di V.S. Naipaul, non sembra aver peli sulla lingua.

Ma c’è anche un giovane adulto, figlio di un ferroviere, che percorre l’India in treno spinto da una propria ossessione, o un giornalista cosmopolita che appunta sul proprio block notes il disappunto per la visita imminente di un parente indesiderato.

E poi il racconto che dava il titolo alla accolta originale in inglese, quel quasi intraducibile One Day I Locked My Flat In Soul City, di cui noi non potevamo rendere in italiano la musicalità e il ritmo, allucinato resoconto di un uomo che, uscendo di casa, si trova immerso in una fiumana di persone in cammino verso una meta sconosciuta. E accompagnarla, questa massa indistinta di corpi odori rumori gesti e espressioni, è facile, ma risalire la fiumana per tornare a casa è ardua impresa. E una volta ritornati, con fatica, al proprio appartamento, si chiude la porta a chiave.

È bello tornare in India dopo dodici mesi (dopo Dangerlok di Eunice De Souza). È bello ritornare nella Smog City di Amruta Patil che abbiamo visto a Ferrara di recente, e ritrovarla SOUL. È bello chiamarla Bombay, come fanno gli scrittori, e non Mumbai, come fanno i partiti della destra induista.

Godetevi questa intervista: un intellettuale vero.

Autobiografia di un indiano ignoto è in libreria da oggi, 16 novembre.

L’India nel sangue

Non parliamo di fiction, ma riprendiamo una segnalazione di Outlook India su un libro che offre uno sguardo sull’India e su una delle città più interessanti, Delhi. Lo fa attraverso una sorta di autobiografia del giornalista Nihal Singh, intitolata Ink in My Veins: A Life in Journalism, tra aneddoti e descrizioni della città a cavallo degli anni dell’indipendenza.

300 pagine di un’India piuttosto urbana e da vita quotidiana, contrapposta agli stereotipi del tè e dei viaggi stipati in treno, attraverso una serie di eventi chiave che ne hanno segnato la storia recente.

haworthruth@mailxu.com