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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Hong Kong, tra libri e proteste

Tra pochi giorni, il 20 luglio, inizierà la ventiduesima edizione della Hong Kong Book Fair, con la grande aspettativa di raggiungere il milione di visitatori, superando il già ottimo risultato dell’anno scorso, con 900.000 presenza e più di 500 espositori. Si tratta ormai di uno dei più grandi saloni in Asia, visto con grande interesse anche a livello internazionale. Questo il sito ufficiale.

Intanto nella regione ad amministrazione speciale ci sono recentemente state due proteste, una prettamente politica e una e una una guidata dall’Associazione giornalisti di Hong Kong. Lamentano una diminuzione della libertà di espressione, che sotto la pressione del governo centrale cinese starebbe mettendo in crisi il principio del “Un paese, due sistemi”, che regolò il passaggio dell’ex colonia britannica.

Essere locally based

Segnalo un’intervista rilasciata ad AGI China 24. Sempre una buona occasione per parlare dell’attività di Metropoli d’Asia, di come è nata e di come scopre i nuovi autori. E per fare qualche riflessione sul mercato editoriale, in particolare quello cinese, tra autori vecchi e nuovi. Peccato l’errore: non siamo più con Giunti Editore, ma dal 31 di luglio saremo distribuiti da PdE.

Le lingue dell’Asia

Di recente il Sole 24 Ore ha intervistato William Darlymple, ottimo scrittore di lingua inglese residente in India. Drlymple è però significativo di una tendenza riguardo alla narrativa asiatica che prima o poi si dovrà invertire: quella di privilegiare la lingua inglese come medium. perchè Darlymple è il direttore del festival di Jaipur, il più importante evento letterario di quella parte del continente? Molti amici indiani dicono, storcendo il naso: perchè non è indiano, è inglese.

Molti dei festival letterari pur interessantissimi – penso a Ubud in Indonesia, a Shanghai e Pechino, a Hong Kong, a Galle e perfino al Mountain Echoes in Buthan) vedono una preminenza di autori di lingua inglese che è quasi sospetta. Ma cosa raccontano gli indonesiani, che scirvono in Bahasa Indonesia? E i cinesi, che l’industria editoriale europea ancora non è riuscita a far decollare?

E un’altra domanda: in quale lingua che non sia l’inglese potranno parlarsi i paesi dell’Asia sudorientale? A quando un bel sito sulla letteratura del continente visibile magari in più lingue?

Cina, ebook e pirateria

Un articolo scritto da Shen Haobo, capo della casa editrice Xion, fa il punto sul mercato editoriale cinese, in particolare quello degli ebook. Secondo Haobo in questa fase il mercato è fortemente condizionato dalla pirateria, e per questo motivo stenta a decollare.

Lo spunto di partenza è una lettera aperta che 40 autori ed editori avevano scritto già l’anno passato a Baidu, visitatissimo motore di ricerca cinese, accusandolo apertamente di pirateria per mettere a disposizione degli utenti, nel suo servizio dedicato ai documenti da condividere, copie caricabili e scaricabili da chiunque. Per Shen Haobo le contromisure attuate da Baidu, di natura semplicemente tecnica, sono insufficienti, auspicando invece un sistema in cui le piattaforme possano procedere alla pubblicazione solo dopo l’ottenimento dei diritti.

Tradurre

Chandrahas Choudhury segnala un’interessante riflessione di U.R. Ananthamurthy sulle traduzioni, questione che in India ha una sua rilevanza che va al di là del linguaggio formale, ma investe la società e il suo ethos. Ananthamurthy arricchisce le sue argomentazioni con numerosi esempi, sostenendo che a volte proprio nelle sfumature date dal mescolamento di diversi linguaggi si raggiunge l’essenza di ciò che si vuole dire.

Proprio recentemente un altro contributo sul tema ci arriva da Kamila Shamsie, che in un altrettanto interessante articolo affronta la questione in maniera più diretta, riflettendo e rilanciando l’eterno dibattito (anche attraverso una serie di esempi personali) sul possibile divario tra le opere originali e quelle tradotte.

Ai Weiwei e gli altri

La liberazione di Ai Weiwei (che ancora non sappiamo se sia definitiva), dà spazio a una riflessione circa le voci critiche in Cina – non m piace usare la parola “dissidente” che è venuta via via indicando personalità in esilio all’estero.

Ai Weiwei (anche se imputato in questo caso in veste di operatore immobiliare) è un artista. Dello scrittore e premio Nobel Liu Xiao Bo si è detto, e noi stiamo per presentare al pubblico italiano il romanzo del blogger Han Han, capofila di una lunga lista di scrittori e giornalsti che si fanno sentire in Rete.

Non economsti, scienziati, sociologi o ricercatori, ma narratori, perché anche l’arte è una narrazione. La loro capacità, e la loro scelta, è quella di restare entro certi limiti invalicabili (mai criticare in modo diretto il regime a partito unico, o perorare la causa della democrazia, e mai nominare le questioni inerenti alla nazionalità, quindi Tibet e Taiwan), ma sbizzarrirsi poi nell’osservazione critica del proprio paese, molto spesso forti – come lo sono i bloggers – di un buon numero di seguaci.

Questo prevalere della narrazione (avete letto i racconti del nostro Zhu Wen?) non ha eguali in altri paesi del mondo. In Cina è dal mondo della cosiddetta finzione che viene lo sguardo più penetrante e acuto sulla realtà sociale e politica del paese. E forse per questo le storie narrate stanno diventando così interessanti, pregnanti, divertenti.

Charles Pick Fellowship per gli scrittori dell’Asia del Sud

La Charles Pick Fellowship, associata all’Università di East Anglia, nel Regno Unito, si allargherà dall’anno prossimo anche agli scrittori esordienti provenienti dall’Asia del Sud, e che scrivano in inglese. L’annuncio è stato dato da Martin Pick, figlio dell’editore a cui è intitolata la borsa. L’opportunità per il vincitore include un soggiorno nel campus universitario e un sostegno finanziario di 10.000 sterline per i sei mesi di durata della borsa.

Dopo la caduta

La sconfitta elettorale dei comunisti nello stato di Kolkata è epocale: la società indiana si interroga intorno a questa caduta dopo decenni di dominio incontrastato. Il nostro Indrajit Hazra, su The Caravan, ci dà il solito caustico commento, con un lunghissimo reportage nel quale ripercorre la trentennale storia del Communist Party of India nel Bengala Occidentale.

Per approfondire, da leggere l’altrettanto lungo e ormai celeberrimo articolo di Arundhaty Roy, che l’anno scorso passò diverse settimane con i ribelli maoisti dell’India centrale.

Donne

La stroncatura di Naipaul riguardo alla letteratura femminile tout-court è già stata ripresa dalla nostra stampa. Sta di fatto che in India non c’è cena “editoriale” o presentazione di nuove uscite in libreria nella quale l’argomento non venga ripreso. Si comincia a verificare infatti in India un fenomeno che potrebbe essere anticipatore di una tendenza a livello mondiale: le donne leggono le donne, i maschi leggono i maschi. Come una separazione in due mondi.

Ne abbiamo già parlato, ma ora il tema è nell’orecchio di molti. Divertente il fatto che l’Hindustan Times affianchi alla polemica di Naipaul l’intervista a Arundathi Roy in occasione del lancio dei suoi libri di inchiesta nel cuore dell’India rurale, dove si affrontano i reparti speciali dell’esercito e le popolazioni contadine a volte guidate da terroristi di sinistra (sic!). Sarebbe molto difficile rinchiudere la Roy in uno stereotipo femminile: i suoi reportage sono all’altezza dei grandi classici internazionale del genere.

Video intervista su Le donne di Saman

Segnaliamo l’intervista realizzata alla professoressa Antonia Soriente, che la scorsa settimana ha presentato Le donne di Saman, di Ayu Utami. Potete vedere anche un’intervista della stessa Antonia Soriente – che ha curato la tradizione del libro – ad Ayu Utami, realizzata qualche mese fa.

kinkel@mailxu.com