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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post su Malesia

La musica di Brian Gomez

Brian Gomez, uno degli autori di Metropoli d’Asia, è anche un musicista, come può aver forse intuito chi ha letto Malesia Blues. A proposito, Brian sta anche lavorando a un seguito del libro.

Qui potete trovare la sua musica, da ascoltare sul sito o da acquistare per essere scaricata in mp3 o altri formati. Terremo a rotazione anche qualche canzone qui sul blog, nella colonna laterale.

Internazionale cita Malesia Blues

In un articolo di Pankaj Mishra su Kuala Lumpur tradotto da Internazionale, nella scheda delle “Informazioni pratiche” a cura della rivista viene citato Malesia Blues di Brian Gomez.

Tew Bunnag segnalato su La Lettura (Corriere della Sera)

Ecco la segnalazione ricevuta da Il viaggio del Naga, di Tew Bunnag, ricevuta sul supplemento La Lettura del Corriere della Sera.

Acquista online

 

Il viaggio del Naga su Urban

La segnalazione del mensile Urban per Il viaggio del Naga, di Tew Bunnag, appena uscito per Metropoli d’Asia.

Errare

L’editore errante incontra. E’ questo il bello del mestiere.

Oggi, in tour nel Sud Est asiatico, mi trovavo in una stanza spoglia, seduti in quattro attorno ai tavolini di ferro nel retro di una libreria indipendente di Kuala Lumpur: Silverfish Books, di Raman Krishnan, che oramai conosco da anni: ogni volta lo passo a trovare e lui ascolta paziente la mia storia, ma non abbiamo mai trovato il modo di collaborare. Raman ha costruito attorno alla sua libreria una piccola casa editrice che riesce a pubblicare ottima narrativa e saggistica in lingua inglese: mi dice che è il suo ‘progetto politico’ che è affermazione abbastanza inusuale da queste parti, anche se è forse solo una traduzione ambigua: politics, cosa davvero si intende? Ma è chiaro che per lui, di origine indiana, è il modo per coltivare una battaglia culturale contro l’imperare di un islam invadente anche se non oppressivo: e la lingua inglese lo situa in un ambito di autonomia intellettuale.

Oggi Raman faceva da chaperon a un incontro con due editor locali che mi presentavano il loro progetto: Linda Lingard e Dayaneetha Da Silva intendono lanciare una casa editrice che traduca dalle lingue locali del sud est asiatico: in inglese, ovviamente. Bel progetto, vuol dire dare aria a una narrativa che altrimenti resta confinata nel Sud Est. Ma quanto costa farlo? A chi la vendi? Linda e Dayan apparivano impreparate.

E quindi ecco apparecchiata una conversazione a largo raggio che spazia dalla narrativa bengali all’e-book, e queste persone mi erano estremamente simpatiche, Linda clumsy, cinese che va all’ingrasso, facilmente imbarazzabile, Raman come sempre un po’ in difesa dietro a frasi altisonanti (modello, struttura di costi) e a qualche affermazione messa giù solo per dimostrare una conoscenza enciclopedica dell’editoria asiatica, ma intelligente e appassionato, capace di scovare talenti che ora tenterà di imporre al mercato europeo, e vedremo.

E Dayan (più tardi mi ha accompagnato a prendere un taxi e mi ha detto: io sono stata invitata da Linda a questa riunione, sapevo grosso modo chi sei tu, ma non ho capito per niente il ruolo di Raman: io le ho risposto: se conosco bene Linda, ha sempre bisogno di farsi accompagnare da qualcuno che la rassicuri). Dayan, direi, è editor di origine indiana, qualche capello bianco come un aureola attorno al viso, anche lei bella larga di fianchi ma giovanile nello sguardo, vispa, acuta.

Ma che stavo a dire? Ah sì l’editore. In realtà quel che mi premeva qui ricordare è il primo incontro in assoluto, nel corso del mio errare (che humanum est, sì, ma l’etimo che mette insieme lo spostamento nello spazio e l’errore va indagato). Dalla lista di un gruppo di amici di Bombay, un nome e un numero di telefono: Meher Pestonji. A casa sua, la bella e cupa casa di Colaba, dentro a una stanzetta dove c’è il suo computer, e soprattutto il suo brandy. Lei versava, versava, parlava di ‘social work’ (io di microcredito) e di un paio di romanzi suoi (io dei ‘narrative non fiction’ miei). Di bicchiere in bicchiere io pensavo: bel mestiere, l’editore errante!

Al di là dei giochi e delle sbronze, nel corso del tempo che mi ha portato in quattro anni da una scrittrice a un gruppo di publishers, da Bombay a Kuala Lumpur, a me è restato in mano una sorta di album delle figurine. Quelli che incontro non solo sono artisti e operatori culturali di civiltà lontane nello spazio (anche se sempre più contigue a noi nelle forme). Sono purissimi esponenti di una middle class asiatica che sta oggi imponendosi al mondo: perché consuma, perché fa attività economica che cresce, perché distilla comportamenti e visioni del proprio mondo che a me piace confrontare con il mio. Un Altro, insomma. Ma un Altro non dissimile da me, di cui mi affascina questo ripartir da zero: cosa sono le metropoli asiatiche se non un mondo nostro, di ceto medio (piccola borghesia, si diceva una volta), consueto, eppure desueto perché loro alle spalle hanno poco, si vedono questo futuro nuovo di zecca davanti agli occhi e possono ancora ragionare su come strutturarlo, decidere cosa farci, lì dentro. Gli piace? Non gli piace? Cosa gli pare giusto e cosa sbagliato?

Due pensierini finali.

1. Mi pare si chiamasse Claudio Lolli il cantautore italiano che scrisse questi interessanti versetti: Vecchia piccola borghesia / per piccina che tu sia / non so dire se fai più rabbia / pena, schifo, o malinconia. Ecco: la piccola borghesia asiatica no, non fa né schifo né malinconia: anzi!

2. Dal Dizionario Italiano Ragionato G.D’Anna – Sintesi, Firenze 1988 (molto pre-twitter): errare v. intr. Nell’accez. orig. Andare senza una meta precisa. Vagare (…). Viaggiare senza una meta. / Dall’idea del vagare deriva il signif. di Sbagliare, Incorrere in errore. Allontanarsi dal vero (essendo l’idea dell’errore connessa a quella dello smarrimento della giusta strada).

Perseverare diabolicum.

Amir Muhammad

Abbiamo già parlato di Amir Muhammad, su questo blog. Un cineasta malese, noto in tutto il mondo per i suoi documentari, e da pochi anni anche un editore di qualità, con la sua Matahari Books, che pubblica saggi sul suo paese.

Non ultimo questo Growing up with ghosts che, raccontando di una coppia mista in un passato di discriminazioni razziali, sta spopolando in tutto il multirazziale Sud-est asiatico. Ma Amir non è contento, e ne ha inventata una nuova. Si chiama Fixi, termine indonesiano che naturalmente significa fiction.

Guardate questo sito, avviate la traduzione automatica e qualcosa se ne capisce. Da intellettuale intelligente qual è, Amir cerca di raggiungere un pubblico più vasto possibile, giovane, che legge solo in malese. Lo fa con una serie di gialli, mistery, spystories scritti da esordienti assoluti (quanto meno per quanto riguarda la scrittura). L’ultima uscita parla di zombie! E, ovviamente, già sono in coda le case di produzione cinematografica per farne un film.

Ho incontrato Amir in un ristorante sotto gli uffici della radio più ascoltata di Kuala Lumpur, BFM. Mi ha giocato uno scherzetto: siamo entrati in uno studio di registrazione ed è partita l’intervista. A Metropoli d’Asia.

Malesia Rock?

Brian Gomez vuole scrivere il sequel di Malesia Blues. Ma non trova il tempo.

Videomaker per la pubblicità, ha impegni continui e senza orari, spesso (crisi per tutti) non pagati o dilazionati allo sfinimento (cioè: mi dovevano tre e mi accontento di uno, dice lui). È stufo.

Tra l’altro ci sono buone prospettive per la realizzazione di un film da Malesia Blues (Devil’s Place in inglese): una importante casa di produzione (niente nomi per ora) gli ha comprato un trattamento, un regista è stato scelto. Naturalmente sarà in malay, per un pubblico locale. Ma l’industria cinematografica malese è una delle più importanti del continente, i suoi film girano il mondo, chissà.

La sua voglia di scrivere è genuina, urgente. Mi racconta la trama non solo del suo secondo romanzo, ma anche del terzo. Certi personaggi ritornano, altre figure secondarie divengono protagonisti di una narrazione che non disveliamo qui, lasciamola correre in libertà dentro alla testa di Brian e alle sue dita sui tasti del computer.

Ma come trovare il tempo per lavorare ogni giorno, quattro o cinque ore? Capisco che non sia solo questione di tempo, ma di tempi: Brian, che virava sul grassottello come tutti gli indiani alla sua età, è dimagrito per la frustrazione di un lavoro che lo costringe a lunghe trattative, a orari che non può controllare, a continui scambi di informazione via cellulare.

Me ne ha mostrato la cronologie e dice: come faccio a scrivere se mi chiamano ogni venti minuti, e molte volte è per dirmi che di un dato lavoro non se ne fa nulla, o che non possono pagarmi prima di sei mesi?

Quindi ci vuole un lavoro a orari fissi, possibilmente la sera. Brian Gomez, che come il Terry Fernandez di Malesia Blues ha passato un molti dei suoi anni giovanili a suonare blues nei locali, ha il suo progetto.

Cinque sere la settimana, una band già avviata, richieste da tutte le parti e un chitarrista disposto a tenere i contatti con i proprietari dei locali. Si chiamano Have-Nots, eccoli qua.

Li ho sentiti un sabato sera al ChillOut, un grosso bar all’aperto sulla terrazza di uno shopping mall, Subang Parade, che fa da centro di gravità per Petaling Jaya, un sobborgo residenziale da classe media a un bel venti chilometri dal centro di Kuala Lumpur.

Bassista cinese, seconda voce e chitarra solista malay, batterista bianco. Brian Gomez è di origine indiana. Suonano evergreen del pop anni settanta per scaldare il pubblico, e poi un sacco di roba sua, composta da lui, riarrangiata e vissuta da lui, a metà strada tra il rock e le sonorità del pop malay. Mooolto interessante!

Isa Kamari

Isa Kamari è uno scrittore di lingua malese. E dovrei aggiungere: di razza malese, di cultura malese, e musulmano come tutti i malesi. Dei suoi otto romanzi, tre sono stati tradotti in inglese.

Due di questi, curiosamente, hanno lo stesso soggetto: l’adozione da parte di una famiglia malese e musulmana di una bambina olandese (il titolo del romanzo è Nadra) in un caso, e cinese (One Earth) nell’altro.

Kamari vuole raccontare le persecuzioni sofferte dal suo gruppo etnico, in diversi momenti storici, durante la dominazione coloniale olandese e britannica, durante l’occupazione giapponese, ma anche, a Singapore, con l’indipendenza.

Come molti autori musulmani dell’area (in Malesia avevo incontrato e poi letto in traduzione Samad Said e Faisal Teherani) l’intenzione è talmente soverchiante da rendere la lettura difficile a un laico. Non c’è niente da fare: la religione rivelata impedisce allo scrittore di dispiegare pienamente le sue capacità, che pure sono notevoli. Solo in One Earth questo nucleo indiscutibile riesce a restare sullo sfondo.

I romanzi di Kamari sono sempre a tesi, e quindi imprigionati entro uno spazio ristretto, le storie non prendono il volo. Come per i due autori malesi che ho citato, l’autore non sa mai prendere distanza dall’oggetto del suo racconto, non è in grado di cogliere i chiaroscuri.

Ho incontrato Isa Kamari di fronte a una tazza di caffè. Mi ha descritto il suo ultimo romanzo, Embracing the Eclipse, fortemente autobiografico, centrato sulla propria giovanile adesione (erano gli anni settanta) a un islam militante – se pur ancora non integralista e fondamentalista – che però gli appariva come l’unica strada percorribile per cercare un riscatto dall’oppressione subita dalla sua razza.

È un romanzo autocritico, così come Kamari è critico con ogni forma di integralismo contemporaneo (si dice convinto che dopo due decenni i movimenti fondamentalisti abbiamo i giorni contati, e ne è contento). «Vorrei far capire quanto ingenua ma onesta fosse la mia carica di ribellione, e come sia stato un errore cadere preda degli assolutismi».

Purtroppo, e lo dico con rammarico, la sua scrittura non riesce a discostarsi da un registro apologetico, da un afflato religioso mai messo in discussione.

Mi regala una perla: non riesce a capire l’ossessione del cattolicesimo nei confronti del piacere sessuale, che l’Islam invece esalta come cemento nelle relazioni, anche familiari, tra l’uomo e la donna. E la negazione del diritto al divorzio, che l’Islam invece accetta come normale, prevedendo, a suo dire, modi e regole per proteggere le donne.

Ho fantasticato su un romanzo che tratti l’argomento: che so, una donna musulmana che sposa un cattolico e non capisce le sue reticenze. Lui rideva.

Strana Malesia (2)

Family Portrait

Se ne parlava a Ubud Writers Festival: la liberazione sessuale come tema dominante in paesi che entrano in scena prepotentemente. E se da un lato siamo noi a guardarli, sorpresi dalla crescita che appare inarrestabile, dall’altro sono loro che guardano sè stessi: nel giro di un paio di generazioni, cambiano le regole del gioco. Seksualiti Merdeka l’evento a cui si riferisce la foto (letteralmente “Indipendenza sessuale”), si è svolto pochi giorni fa in un paese, la Malesia, dove vige la Sharia. Basta guardare il ritratto di famiglia per capire dove i nostri eroi vogliono andare a parare.

Se ne parlava a Ubud facendo un raffronto tra India e Indonesia, dove la liberazione sessuale è affare femminile (e noi ci siamo con Dangerlok, tipi pericolosi, di Eunice De Souza, di prossima uscita, e con Le Donne di Saman, di Ayu Utami) da un lato, e Malesia e Singapore dall’altro: in questi due ultimi paesi, stranamente quelli più oppressivi e arretrati come legislazione e giurisprudenza, sono semmai gli omosessuali a rompere il ghiaccio.

Infine, una vecchia intervista del nostro Brian Gomez, con una foto che è tutta un programma. Girare la sera i pub di Kuala Lumpur (detta KL) con lui e la sua Melanie, trovare gli ambienti più meticci e le musiche più contaminate che si può, vederlo prendere in mano la chitarra e regalarci un blues, è una festa. Brian, me lo mandi ‘sto dvd o no?

Strana Malesia

Una copertina di Matahari Books

Quando si dice che la letteratura rivela… Il Ministero degli Interni malese si è trovato recentemente alle prese con un dilemma: cosa fare di Body2Body, antologia di storie omosossuali edita da Matahari Books?
La Malesia è un paese dove la Sharia è applicata in modo… ondivago. La parte della popolazione di etnia Malay (circa il 65%, ma il governo dice l’80%, l’opposizione dice il 50%!) sarebbe infatti tenuta a osservare legge coranica, mentre gli altri (Cinesi Hokkien, Cantonesi, Tamil, WASP e altri bianchi a piacere) no. In realtà vengono applicati solo alcuni principi, simbolicamente. Ad esempio ai Malay è vietato partecipare a corsi di ginnastica yoga (si registra un grosso dibattito intorno al Pilates). Come si può immaginare, dietro tutto ciò ci sono appetiti e clientele del politico di turno. In questo caso, non avendo il coraggio di censurare il libro, qualcuno manda i poliziotti nelle librerie a… comprare tutte le copie rimanenti. Risorse naturali, tecnologie di punta (perfino nell’industria aerospaziale), biotecnologie, informatica, anche un grosso produttore automobilistico fanno della Malesia un paese di punta. Anche perchè dagli stretti passa la quasi totalità del traffico navale tra oriente e Europa. Anche perchè la Malesia è (era?) paradiso fiscale. Anche perchè è zona franca per petrodollari in libera uscita. E quando i dollari USA si mescolano ai petrodollari c’è sempre da divertirsi… Corpo a corpo!

jefferys.sharice@mailxu.com