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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Vikram Seth vs Sarnath Banerjee

A suitable audience è il gioco di parole dell Hindustan Times dal Ragazzo Giusto di Vikram Seth (A Suitable Boy). Fa piacere sapere che il nostro amico Sarnath, graphic novelist di vaglia, autore di The Corridor (misteriosamente pubblicato in Italia) e The Barne’s Owl ha attirato su di sè l’attenzione dei grandi alla Durbar Hall. Sarnath è anche editore di fumetti, e globe trotter a tempo pieno. E’ il tipo di autore che Metropoli d’Asia aspetta alla sua prova importante, ammesso che qualche editor indiano sia capce di metterglisi alle calcagna.
Oggi la stampa indiana è però attratta più dalle star che vengono da fuori, che dagli autori locali. Vedi Dna India su Martin Amis, e Junot Diaz per Times of India. Di sicuro quest’anno l’occasione è mondana e in mondovisione: molti gli editor europei in visita mordi e fuggi (modello ‘io c’ero’), ma buona esposizione sulla nostra stampa (bello l’articolo di Livia Manera sul Corriere di sabato). Poche storie: due anni fa ha aperto Hachette India, di oggi la notizia dell’apertura a Delhi di un ufficio locale della prestigiosa agenzia internazionale Aitken Alexander. La Cina sfida il gigante americano, ma l’India ha già il quarto PIL del mondo…

Amore e sesso a Jaipur

Sembra l’argomento all’ordine del giorno, e allora rubiamo questa foto: chi sono loro due? Ieri la presentazione di Orhan Pamuk, qui in video e su carta a parlare d’amore. Poi nientepopodimeno che Sex and the City. E la pagina di Tehelka che vi da in diretta video (o quasi) alcune sessioni del festival. Il diario giornaliero su YouTube. E, beh: la cerimonia di apertura: troppe autorità, ma la musica, la luce.

Rassegna stampa da Jaipur

La mattina dell’apertura, i quotidiani annunciano l’evento. Comincio con lo stupirmi dell’enfasi di Hindustan Times: la Woodstock della letteratura? Il più grande show letterario del mondo? L’autore dell’articolo è William Darlymple, direttore del festival… Chiara l’intenzione di farne un evento pop. Buona la pagina di cronaca che presenta la giornata di oggi, nella quale spicca la conversazione con Orhan Pamuk condotta dal giovane critico (e scrittore) Chandrahas Choudhury che sul suo blog presenta l’incontro così. Chandrahas è un vecchio amico di MdA, e il suo blog è nella lista qui a fianco.

Daily Jaipur

Il nostro Indrajit Hazra presenta il Festival di Jaipur in una sua recente column (Red Herring – Falsa Pista) sull’ Hindustan Times, quotidiano che promette da domani di informarci… quotidianamente su quel che succede al festival. Di Hazra godetevi anche questo elzeviro su ‘letteratura e narrativa d’evasione’, per usare terminologie nostrane.
Sta di fatto che Jaipur Literature Festival 2011 comincia tra poche ore, lontano dall’intimità delle sue prime edizioni (solo 4 anni fa: poche decine di ospiti, dibattiti tra esseri umani e non tra esseri umani trasformati in star… che nostalgia! Come disse Mridula Koshi l’anno scorso: è che a continuare a camminare in giro con il sorriso perennemente innestato prima o poi ti sloghi la mascella). Si aprano le danze.

India sugli scudi

E’ in India, a Jaipur, che si tiene il più importante festival letterario asiatico (ora è moda dire: Asian-Pacific): Jaipure Literature Festival. Coetzee, Pamuk, Mc Inerney, Martin Amis e qualche altro grande, a confronto con gli scrittori indiani. Unico appunto, per quest’anno, una sottoesposizione del resto dell’Asia: Cina, Taiwan, Corea, Indonesia, Vietnam. Come se al secondo dei giganti asiatici non interessasse la letteratura dei vicini, (si dice in gergo: coopetitors, a metà strada tra concorrenti e soci), cosa del resto per ora ricambiata (solo l’Indonesia sembra più curiosa e attenta al continente come tale). Ma il grande festival asiatico è in India, come fosse una sfida a far meglio. Quest’anno, dopo tre consecutivi, MdA non è a Jaipur. Proveremo a seguire il festival sulla stampa indiana, e ve ne racconteremo.
Intanto, una chicca da aggiungere alla nostra collezione di links interessanti: Out of Print, rivista online di racconti, con nomi di tutto rispetto (Usha, Koshi, Hassan). Come a dire che sì, il racconto breve si può leggere online, gratis.

Liu Xiao Bo e Danwei

Un post su Danwei parla di Liu Xiao Bo. Mi sembra un buon esempio di come gli intellettuali cinesi riescono a dire e non dire. Il concetto e’ comunque chiarissimo.

Dangerlok: una donna sola, a Bombay

La copertina dell'edizione indiana

Sembra che il nostro Dangerlok, di Eunice De Souza, stia diventando un libricino di culto, nel suo genere. La storia di Rina, donna sola a Bombay in conflitto con uomini sgradevoli in una città dura e machista, incuriosisce. Allora qualche informazione su di lei: una bella bio da un sito affidabile, e la sua column settimanale sul Mumbai Mirror, dalla quale emerge la personalità di questa donna forte, capace di sfidare le convenzioni dell’India di qualche decennio orsono, quando una donna che vive sola per scelta e ha relazioni con uomini diversi faceva scandalo davvero, pubblico e privato. Dangerlok mi fu suggerito da una anziana editor di Bombay, insieme a una lista di altri romanzi ambientatì in città, che mi descrisse la De Souza come ‘un personaggio molto chiacchierato’. Letta di una fiato la novella, la contattai, e la invitai a cena. La voce, al telefono, era quella di una signora in là con gli anni che, per qualche ragione, non voleva spiegarmi in quale quartiere di Bombay viveva esattamente, e denunciava una certa fatica nel venire fino a Bombay South, dove stavo io. Venne, la invitai a cena in quello che io ritenevo essere un ottimo ristorante di mare, dove già mi ero goduto dei fantastici granchi, senza capire che si trattava proprio del locale che lei, in Dangerlok, descriveva come un ottima locanda degli anni passati, inutilmente rimodernata di recente nello stile pacchiano imposto dai nuovi ristoranti della ‘shining Bombay’ dove si servono ora gli stessi granchi che dieci anni prima, ma a prezzi decuplicati. Il posto sbagliato, in assoluto. Lei si era presentata con un bel bindi rosso in fronte, io le avevo chiesto se fosse di religione indù e mi aveva risposto che no, metteva il bindi perchè lo trovava divertente. L’avevo trattata con deferenza e delicatezza, come si fa con gli anziani, e, io immaginavo, con i poeti e le persone fragili come lei sembrava comunicarmi di essere. O di voler essere: due giorni dopo dissi a un amico che, tra le mie molte domande, temevo di aver chiesto a Eunice qualcosa che potesse ferirla. La sua risposta, da navigato mumbaikar, fu: non credo che ci sia nulla al mondo che possa ferire Eunice De Souza. Me ne accorsi qualche giorno dopo, a una prima teatrale: le donne in particolare la evitavano come la peste, una mia amica era letteralmente scappata via per non doverla incontrare. Feroce Eunice De Souza? O fragile Eunice De Souza? Come Rina, protagonista di Dangerlok. La casa nel libro è la vera casa di Eunice De Souza, che ho visto qualche mese dopo. Santa Cruz East, un quartiere popolare pieno di bancarelle e rifuiti abbandonati per strada, un condominio fatiscente, un microscopico appartamento e la gabbia con il pappagallo. Uno solo, ho osservato: in Dangerlok sono due. L’altro è morto, mi rispose lei. O non è mai esistito?

Oltre le fiamme del Taj Mahal Hotel

26 novembre 2008. Un commando terrorista attacca alcuni edifici a Mumbai / Bombay. Si spara all’impazzata, i morti sono 140. L’attacco più cruento è quello a raffiche di mitra tra la folla dei pendolari a Victoria Station, ma un pugno di miliziani entra persino in un ospedale sparando sui degenti e sul personale. Le tv di tutto il mondo centrano la loro attenzione su Bombay: CNN, BBC, Fox e Sky, francesi, tedeschi e italiani mostrano indiretta le fiamme che escono da una finestra dell’albergo più famoso di tutta l’India, il Taj Mahal, e l’Hotel Oberoi dove uno chef italiano è tenuto in ostaggio. Molti indiani, dopo qualche giorno, riprendedosi dallo shock, si rendono conto di come la visione eurocentrica del mondo occidentale abbia completamente distorto la realtà: si paragonano gli attacchi di Mumbai al 9/11 di New York, ma è chiaro che il terrorismo in India ha radici completamente diverse, è fenomeno che viene da più lontano, legato alla Partition tra India e Pakistan, all’indipendentismo Kashmiro, a quello Punjabi. Lo scontro in India tra le comunità indù e mussulmana è endemico, e l’Islam, vastamente minoritario, risulta spesso essere la parte lesa, sotto l’attacco di un fondamentalismo indù legato a doppie mani con la speculazione politica e il gioco dei poteri piccoli e grandi.
Riproponiamo qui la vera e propria invettiva di Kiran Nagarkar (Ravan & Eddie) su Vanity Fair di un anno fa. Perchè, ci chiede Nagarkar, vedete solo i tre morti occidentali al Taj Mahal, e non le decine di vittime indiane a Victoria Station?
Metropoli d’Asia a Bombay ci è praticamente nata: per questo tanti dei nostri romanzi sono ambientati in quella città, o scritti da autori che ci vivono: il Cyrus Mistry di Le Ceneri di Bombay, Raj Rao con Il mio ragazzo e recentemente Dangerlok, Tipi Pericolosi, di Eunice De Souza. Ognuno di questi romanzi cita episodi del conflitto tra fondamentalismo indù e islamico. Non si vive a Bombay o in India, senza sentire sulla propria pelle i morsi della realtà.
Tenete d’occhio i blog e i siti indiani segnalati qui di fianco: nei prossimi giorni sono sicuro che parleranno dell’attacco a Mumbai. E non solo del Hotel Taj Mahal, dove scendono gli occidentali in visita.

Camus e Habermas a Jakarta

Europe vs Indonesia

Il motivo per cui mi incuriosisce l’Indonesia è che lì, magari a cavallo di una recente vena incline al realismo magico, i temi forti di un mondo che cambia (i nuovi scenari delle donne che danno l’assalto alle professioni, le complicate relazioni tra metropoli moderne e aree rurali poverissime, le religioni in lotta tra di loro e un islam che cerca disperatamente di mantenere un suo profilo moderato) innervano le narrazioni, quelle scritte e quelle per immagini del cinema, della televisione. Allora non c’è da sorprendersi se a Komunitas Salihara vengono menzionati Camus e Habermas. Del resto molti dei centri culturali indonesiani come Salihara furono fondati da artisti o intellettuali che molto si impegnarono per l’avvento della democrazia. Qui il centro motore è Mohamad Goenawan, ex fondatore e direttore di Tempo, uno dei magazine più famosi del paese, una specie di nostro Espresso. Di Goenawan trovate tre poesie su Asia Literary Review. Vi segnalo poi, su La Stampa web, una bella intervista di Francesca Paci alla scrittrice Nukila Amal. Metropoli d’Asia pubblicherà il 6 aprile il suo Cala Ibi (Il Colibrì). Nukila Amal sarà a Incroci di Civiltà a Venezia dal 12 aprile in poi. Le sue opinioni sono un po’ forti, ma tant’è.

Democrazia e scrittura

Orwelliana Singapore?

Qualche giorno fa un bell’articolo di Massimo Morello sul sito di Lettera22 raccontava in modo esauriente Singapore e la sua democrazia a senso unico, che definire autoritaria è un eufemismo. Lo faceva attraverso le parole dei suoi uomini di governo e di qualche megamanager delle molte corporations globali che fanno base in questa città stato del sudest asiatico, per niente spaventati all’idea delle restrizioni imposte alla libertà di opinione (e di movimento: l’autore di un recente pamphlet sulla pena di morte a Singapore è in galera da sei mesi, in attesa di un giudizio).

Paradossalmente, per uno scrittore questo è un momento di apertura. Ethos Books ha presentato di recente un memoir di Teo Soh Lung che ripercorre la sua lunga prigionia, dopo l’arresto a seguito della cosiddetta ‘Cospirazione Marxista’ della fine anni ottanta.

In realtà sono ormai molti gli scrittori e i poeti che, nonostante la militanza nei movimenti di opposizione della fine anni ottanta e novanta vengono ora pubblicati apertamente, e sembrano non temere più la censura. Un esempio è Yeng Pway Ngon, le cui poesie vengono pubblicate in raccolta da Literary Centre (uno dei volumi si intitolerà ‘Rebellion’). Un altro Suchen Christin Lim il cui Rice Bowl ripercorre quegli anni.

Pochi giorni fa il supplemento cultura e spettacoli dello Straits Time, Life, esibiva in prima pagina la foto di gruppo di otto poeti, tra i quali lo stesso Pway Ngon e Cyril Wong, un altro scrittore che ha sempre espresso apertamente il suo dissenso.

Forse gli scrittori non contano più niente, nel nuovo mondo asiatico? Recentemente, a una discussione pubblica organizzata dal British Council per presentare il progetto Writing the City, prima dell’inizio, ho chiesto al moderatore se mi avrebbe consentito di porre una domanda proprio su questo tema: gli scrittori di Singapore e la democrazia. Mi ha risposto: meglio di no. Torna tra un anno, e vedrai che sarà possibile.
Ieri sera, a cena con due registi e autori di pubblicità ho avuto invece una risposta esauriente. Mi hanno detto: il processo è irreversibile, questo paese intende vendere sé stesso come l’hub dell’Asia del Sudest. Sta cercando di attrarre qui le sedi continentali delle agenzie pubblicitarie, dei media. I think tank di tutta l’Asia fanno base a Singapore. Come puoi vendere una immagine di Singapore come centro della creatività asiatica, e poi costruire un clima di costrizione? Come a dire che la pubblicità è l’anima della democrazia: molto orwelliano, molto singaporeano. Ma in paese dove i poeti scrivono di notte e di giorno sono economisti, analisti finanziari e manager, tutto è possibile.

Bella l’intervista a Suchen Christine Lim, edita da un piccolo blog semisconosciuto

keehan.emeline@mailxu.com tacker_jahan@mailxu.com